Ti è arrivata la cartolina?

 … arriva la cartolina: la chiamata alle armi.

 Tanti dei miei amici l’avevano già ricevuta ma vederla in mano a mia mamma fu un colpo. In silenzio, tutta composta, sventolò piano quel foglio che nonostante il piccolo formato aveva tutta la nostra attenzione. Le ho chiesto sottovoce: “È arrivata?” e lei con un sorriso si limitò ad annuire.

In un attimo da ragazzino di paese con qualche insicurezza diventai dubbioso sul mio futuro. Dove mi manderanno? Cosa farò? Sarò in grado? Non ero mai stato per così tanto tempo fuori da casa, anzi non avevo mai fatto più di un giorno lontano da casa o dalla mia famiglia. Nella mente avevo tante domande e nessuna risposta. Preparando la valigia mi accorgevo di quanto fosse strano vedere le mani tremare, e per cosa poi? L’emozione di vedere posti nuovi, tanti ragazzi della mia età da tutta Italia, ognuno con le proprie idee, le proprie caratteristiche, le proprie emozioni. In pochi giorni l’insicurezza lasciò posto alla curiosità e non vedevo l’ora di partire. Chi non ricorda il servizio militare? E vogliamo parlare dei famosi tre giorni? Con tutte le storie di chi ci era già passato che invece di rasserenare il cuore giocava a iniettarlo di terrore, angoscia e sgomento! Che bei ricordi…dico ora, col senno di poi. Il Car? Io a Belluno 4 settimane e poi la cerimonia del giuramento! E poi? Poi Brunico! Le amicizie strette in quei mesi, possono durare anche per interi decenni terminato il servizio, vero? Ci si faceva da spalla, si era un gruppo ma si imparava presto a cavarsela da soli, il perché è palese: è la vita! Le giornate non andavano tutte lisce e tranquille, e le notti di guardia non erano facili ne passavano veloci. C’era molto da fare, da lavorare, da maturare e la testa doveva fare i conti con quel ragazzino di paese che doveva uscire uomo da quelle esperienze. L’obbligo di dovertela cavare nelle diverse situazioni, non solo i compiti della caserma ma anche tra noi ragazzi, con i diversi modi di fare, i linguaggi coloriti, i caratteri assolutamente plasmati dalla provenienza e dalle radici di ognuno. Tutto aveva lo scopo ultimo di farti sentire parte di un Paese, vero che fino a quel momento era solamente sull’atlante o sull’enciclopedia, da cui non potevi ascoltare accenti ne tanto meno confrontarti. Tutti imparavano, scimmiottavano le cose positive per sopravvivere, crescere come persona e per facilitarsi i mesi che dovevano ancora passare. Tutte le esperienze entrano a far parte di te e continuano a scorrerti nelle vene. I ritorni a casa nei fine settimana per poter mangiare, raccontare e condividere con i maschi di casa quelle esperienze che solo chi ha fatto la leva comprende fino in fondo. Finito il fine settimana? Si riparte con  tutti i vestiti puliti e stirati e con quelle Lire allungate di nascosto, sia da mamma che da papà, che ti permettevano di andare a mangiare la pizza con i commilitoni. Ognuno aveva ed ha una propria idea della leva ed ognuno si ricorda il bello ed il brutto soggettivamente. Era una relazione mentale di odio e amore, una fatica fisica immensa che ti permetteva di guardare oltre te e il tuo paesino, oltre le tue paure i limiti di ragazzino per darti una vera opportunità di lavoro, una nuova prospettiva di vita, una esperienza di quelle che non si raccontano del tutto ne si possono pienamente condividere. La leva erano molte realtà insieme, un miscuglio di emozioni contrastanti. Quanti amici conosciuti durante quei mesi hanno cambiato vita, scoprendo le proprie potenzialità e guardando a tutte le opportunità di studio, lavoro e carriera.

Dal 1 gennaio 2005 le Forze Armate iniziarono ad adottare il modello di esercito composto da professionisti e reclutamento volontario tramite concorsi pubblici. È stata tolta l’opportunità ai ragazzi di formarsi sotto ogni punto di vista. Oggi manca nei giovani questa esperienza, loro non lo sanno e la eviterebbero solo per i sentito dire. Si perdono la forza che abbiamo portato a casa noi e le generazioni prima della mia, la sicurezza e il senso di gruppo. La loro fragilità, molti di noi hanno potuto affrontarla e vincerla, la loro noia, non sapevamo nemmeno cosa fosse, le insicurezze andavano affrontate. Tra noi e con chi ci guidava c’era un rapporto di rispetto, di gerarchia, di fiducia e amicizia che i giovani di oggi purtroppo rischiano di non conoscere. Personalmente ritengo che i giovani, oggi, potrebbero avere ottimi riferimenti. Purtroppo in questi mesi, ognuno vive i diversi lockdown ma tutti sentono il forte disagio emotivo e sociale che hanno intorno.

Chi ha un alpino in famiglia ha vissuto questi mesi, soprattutto a Bergamo, con una coscienza sociale che è esplosa tra aiuti e soccorsi, comunicazioni di tanti andati avanti e di chi è riuscito a tornare a casa. Un enorme impegno fisico, psicologico ed emotivo che ha lasciato cicatrici ma che ha evidenziato la forte struttura della nostra Associazione. Intendo dire che solo chi vive alcune esperienze direttamente sente questa alpinità. Chi si è sentito solo o perso non ha avuto accanto persone che invece avrebbero potuto offrirgli conforto. Finita la leva sei un alpino, non sei più una persona a se stante, sei parte di una realtà immensa, importante. Un alpino è la mano in fondo al tuo braccio. È presente per le emergenze, è pronto a partire quando le alluvioni colpiscono il Paese, è volenteroso quando i terremoti spezzano il terreno, è collaborativo nel sostegno e nelle forme di aiuto alle persone. Alpino è un modo di vivere, un dovere, è un onore per tutta la vita. Sono orgoglioso di essere alpino, figlio di un alpino. In alto le penne! W gli Alpini!

L.B.

LEGGI QUI TUTTO LO SPECIALE pubblicato lunedì 12 aprile sul Bergamo&Sport: SPECIALE CENTENARIO ALPINI del 12 aprile