“La realtà è sopravvalutata”.

Vorrei crederci ancora a questa frase scritta una notte di tanti anni fa insieme al mio amico –e collega- Andrea su un muro in Malpensata. Vorrei crederci ora che la realtà con il lockdown svanisce, quella stessa realtà, che a vent’anni (ma anche a trenta) ci stava stretta. E ora ci manca.

In fondo le città non sono solo cemento, affari e gente che va di corsa ma sono costruite di desideri e paure, come i sogni. Ed è così Bergamo. E chi l’avrebbe detto che sarei arrivata a dire che mi manchi, Bergamo! Invece finisco per sognarti. Sogno quello che facevo fino al 6 novembre. Desidero quello che desideravo fino al 6 novembre…perché questo virus può interrompere le abitudini ma i desideri non svaniscono a comando. E tutto si trasferisce nel sogno. Anche Bergamo, questo buco di città –bellissima- che conosco a memoria: la vedo riflessa in uno specchio ma io non ci sono.

Prima del lockdown a Bergamo sembrava di essere già al 23 Dicembre: tutti in giro, un’improvvisa voglia di vedersi, di incontrarsi, di andare al bar sempre prima. Con la scusa di sostenere l’economia, tutti ubriachi alle 18! Quasi ad esorcizzare quanto stava per succedere.

Se l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro -e sottolineo SE- Bergamo è fondata sui bar… Ed è proprio di questo che voglio parlare oggi: non dei bar ma del lavoro, del mio lavoro.

A pensarci bene non dico mai “Vado al lavoro”. Piuttosto vado in palestra, vado ad allenamento…. così come i miei genitori, insegnanti, hanno sempre detto “vado a scuola”.

Nonostante questa affinità, mia madre non ha mai pensato che il mio fosse un vero lavoro e mio padre mi manda ancora oggi tutti gli annunci che trova, persino quelli del L’Eco di Bergamo… Chissà perché?

Forse il motivo è che babbo natale è più reale di un contratto di collaborazione sportiva, quel contratto così smart che non devi neanche firmarlo!… Persino al CAF di Petosino, quando spieghi che “si ho un contratto esentasse ma le spese mediche le devo scaricà comunque”, ti guardano un po’ confusi, come se gli dicessi che hai due residenze, una in Lussemburgo e l’altra alle isole Cayman…

Per fortuna il ministro Spadafora si è accorto che la legge che regolamenta il nostro settore compie 40 anni (persino più di me!) e che, finalmente, è giunto il momento di metterci mano. Questa la promessa che passerà al vaglio del parlamento nelle prossime settimane: non ci sarà più differenza tra professionisti e dilettanti, almeno dal punto di vista giuslavorista e tutti saranno chiamati lavoratori sportivi. Per chi non lo sapesse finora solo calcio, basket, ciclismo e golf sono considerate discipline professionistiche e solo per il settore maschile. Non commentiamo: basta dire che Juri Chechi, Jannik Sinner, Paola Egonu, Alberto Tomba non sono considerati sportivi professionisti…

Ma lasciamo da parte le promesse e torniamo al nostro mestiere, quello vero, sul campo che è fermo da dieci giorni e sembra una vita. Mi chiedo: perché è un lavoro così bello? Perché è così importante? e infine: se potessi invitare a cena il Ministro Spadafora, cosa gli chiederei?

Queste domande le ho fatte a loro, questa strana specie animale: gli allenatori…professionisti in costante formazione, appassionati della vita, dello sport e veri amanti della loro disciplina. Ucciderebbero per la loro disciplina! Ecco le loro risposte:

“Allenare è così bello perché allunga la vita, noi allenatori non invecchiamo mai!!” dice La Marazza, istruttrice di nuoto, il suo elemento è l’acqua e –fidatevi- si muove con più grazia e disinvoltura immersa che sulla terra ferma.

“Allenare è importante perché diventi un punto di riferimento, un educatore e, nel nostro piccolo, anche un modello sociale” dice il “maestro”, Fabrizio Incitti, allenatore del volley Lurano e di Beach Volley.

Paola Sangiovanni, focosa istruttrice di ginnastica artistica del CUS Bergamo, ama questo lavoro perché “Sto tutto l’anno in tuta e scarpe da tennis, non ho adulti tra le scatole, mi mantengo in forma senza pagare (anzi mi pagano!) e alle nazionali vado pure a mare…”, non fa una piega…poi “vedere quegli occhi attenti quando mi complimento, le sgrido o le rassicuro; sentire il mio cuore che batte insieme al loro in attesa di sapere se arriverà il podio ed essere pronti a rialzarsi in caso di sconfitta, beh non ha prezzo!”

Poi c’è la giovanissima Laura Invernici (che tutti segretamente invidiamo perché gioca ancora!), allenatrice di volley dell’ASD Antoniana, potente e determinata. “Amo questo lavoro –dice- perché è legato alla mia passione e perché significa vivere insieme nella stessa palestra, sentire gli stessi odori, le stesse emozioni”.

C’è chi invece non gioca più come Matteo Baroni, guida carismatica della Serie D del Ciserano Volley, che allena per “provare ancora l’adrenalina delle partite” e in effetti basterebbe questo a giustificare tutti i sacrifici!

“Poter lavorare seriamente facendo divertire è una cosa fantastica”, dice Marco Gritti allenatore e mental coach del Rugby Bergamo. Già!

Gloria, allenatrice di nuoto paralimpico della PHB, trova prezioso il nostro mestiere perché “l’impegno, la determinazione e la passione che ci contraddistingue è un messaggio importante; forgia corpi, anime e cervelli.”

Kro, guerriero vero e coach di Parkour Wave, ci confida come “innescare cambiamenti fisici e mentali, condividere gioie e fatiche, vedere il volto di chi è appena riuscito in un’impresa è qualcosa di incredibile. Purtroppo sempre più persone utilizzano il proprio corpo solo per pigiare tasti, invece siamo in grado di arrampicarci, saltare, rotolare..”. E poi svela: “allenare tira fuori la vena di sadismo insita in ognuno di noi!”.

“Allenare è così bello perché posso andare a bere in compagnia post allenamento” dice Gregorio Boccoli, preparatore atletico della A2 di Basket femminile GSD Edelweiss.

“Se ci pensi -dice Ale, coinvolgente coach dell’Azzanese Basket Stezzano- lo sport è spesso una chiave di svolta della vita” …e quanto è vero!

Ed ora passiamo alla cena con il ministro.

“A cena con il ministro? Gli chiederei innanzitutto di pagare il conto –dice Paola- e che vengano allestiti fuori da ogni palestra dei banchetti con aperitivi per le mamme in modo da distrarle dall’attesa di vedere uscire loro figlia trasformata nella Nadia Comaneci dell’anno”.

“Al ministro –dice Marazza- proporrei di organizzare un bel corso di nuoto nella sua vasca da bagno e già che ci siamo tra una vasca e l’altra gli chiederei di riconoscerci come lavoratori e lavoratrici con i diritti che questo comporta come ferie, malattie, maternità, pensione…”

Laura pensa che sarebbe bello ripartire nonostante il covid. “Tutti hanno bisogno di relazionarsi, soprattutto i più giovani che sono chiusi in casa!”.

Gregorio chiederebbe di “promuovere la parità dei sessi nello sport”. Ale “di portare avanti una riforma che valorizzi l’importanza sociale e psico-fisica dello sport nella vita di tutti i giorni”. Fabri ”una legge che tenga conto della realtà del movimento sportivo dilettantistico” e Matteo “maggiori aiuti economici alle società sportive con progetti seri nel settore giovanile”.

Siamo tutti d’accordo: allenare è un mestiere di responsabilità, richiede formazione continua ed esperienza. Serve empatia, attenzione e programmazione. In ogni caso gli allenatori, nonostante la loro precaria esistenza, sono ironici e felici. Però… come insegna la saggia Samantha di Sex & the City “Il mio maestro zen diceva che l’unico modo per essere felici è vivere il presente senza preoccuparsi del futuro: ovviamente è morto povero e single!”. Quindi caro Ministro, fora la spada, hasta la victoria, siempre!

Antonella Leuzzi