Dice, dopo un secolo che non ci vediamo, sorseggiando il suo Spritz al Blupuro, uno dei tre bar degli ultrà duri e puri dell’Atalanta, il peggiore di Caracas, il mio preferito a Bergamo, la seconda casa di noi giornalisti sportivi nell’ora dell’aperitivo e all’una e trentacinque circa: “Matte, ma tu, ultimamente, hai fatto qualche seduta di psicoterapia in più? Ti trovo maturo, in gamba, centrato e sereno. Sei diverso dal solito. Non hai ancora fumato una sigaretta e mi sembra che ti stia mangiando un po’ meno le unghie. Ti gratti solo la barba, ma quello è il tuo tic, ce l’hai da quando ti conosco. Ci sta. Non dà così fastidio, anzi ti rende interessante, fa molto te: intellettuale di sinistra leggermente in sovrappeso che cerca una risposta ai problemi del mondo che nel frattempo sono cambiati”. Le rispondo, abbastanza serio, nella parte, concentrato, visti i complimenti in serie che mi ha fatto, insomma per non deluderla, nonostante da una dozzina di secondi abbia iniziato a sanguinarmi il dito medio, scorticato per via di un’irresistibile pellicina pappata al volo anche per l’emozione di incontrarla, ironica e intelligente, bellissima, come sempre fatale, a dispetto degli anni che passano, per me e per gli altri, mai per lei: “Boh, da Ze Ze ho smesso di andarci ad aprile. Le sedute erano belle, del resto lui è un grande, ma a me pareva di non andare avanti né indietro, nella palude dei miei soliti casini sentimentali, quelli che tu conosci bene e che ci hanno fatto naufragare. Li sai: la voglia di scappare appena si alza il vento, il bisogno di tornare nei giorni di pioggia, l’incapacità che ho di amare… Abbastanza simile al rapporto col mio lavoro, odi et amo e non so”. E lei, continuando sulla linea degli apprezzamenti, tra il serio e il faceto, con quell’irresistibile modo che ha di parlarmi prendendomi ogni volta leggermente per il culo, “sei cambiato, sei in forma, la pancetta è calata e sei elegantino, addirittura con addosso una camicia decente, con la barba fatta di fresco e con l’Estaté in mano al posto del Negroni, che ometto, da sposare…”, cercando di capire il motivo della mia presunta resurrezione, puntando forte sulle due svolte possibili per noi che campiamo scrivendo le nostre emozioni e il loro contorno: “Un nuovo amore o hai finalmente imparato l’inglese e ti hanno preso al Guardian?”. E io, pensandoci su e trovando immediatamente la risposta, illuminato, identico al Siddharta di Ermanno Hesse, a un passo dal diventare il nuovo Buddha, evitando però di tentare la posizione del Loto, che mi è impossibile per via che ho le ginocchia malandate: “C’è questo libro… Mi sono messo un po’ per gioco e molto per soddisfare la mia curiosità. Era una domenica, faceva caldino, la redazione non era ancora l’ufficio-sauna che diventa in estate, ma era già su quella strada lì, quella del giornale-forno a legna per eventuali pizze quattro formaggi giganti da magnarsi tutti insieme mentre si scrive dei play-off e del play-out nel calcio bergamasco… Va bé, la nostra sede, la conosci…”. E lei, al culmine della curiosità, conscia dei miei limiti quando mi metto di buzzo buono a raccontare e apro e chiudo parentesi come se piovesse, guardandomi negli occhi con quello sguardo arrapante perché apparentemente innocente, da cerbiatta pronta a perdersi nella giungla d’asfalto metropolitana popolata da vecchi indiani padani come me: “E? E? Dai, Matti, arrivane a una…”. E io, finalmente sul pezzo: “Mirabili vite”. E lei, che ignora come abbia passato i miei ultimi tempi: “Mirabili chi?”. E io, immaginandomi di essere al domandone finale di un quiz a premi su Rai Due, lì e lì per vincere la valigetta marrone e di cartone piena zeppa di gettoni d’oro perché so la risposta esatta: “Vite”. E lei, provando a fare Insinna quando conduceva Affari Tuoi: “Spiegati…”. E io, stremato, in testa all’ultima salita della nostra faticosa conversazione, ma ancora scattante, con la lingua sciolta, in forma quanto le gambe di Pantani nell’edizione 1998 del Tour de France: “Appena esce te lo do, è il mio ultimo libro che ha questa cosa dentro che mi ha migliorato tanto. Sono le tredici vite delle persone più realizzate che conosco, alcune tra le più amate qui da noi, gente che ce l’ha fatta”. E lei, col viso ormai a punto di domanda: “E che c’entra con te?”. E io, in surplace, tale e quale a Paolo Crepet mentre fa il figaccione su Mediaset, gradasso, accorgendomi del traguardo ormai a un passo: “C’è una cosa che li accomuna, che il segreto del successo, che poi non sono i soldi, ma viverla meglio, non è non avere problemi, che s’incontrano ad ogni angolo e di riffa o di raffa ce li abbiamo tutti, ma è avere la forza e la serenità per risolverli al volo”. E lei, alzandosi leggermente la gonna a fiori, simulando di mandare via una zanzara, facendomi vedere una delle sue fantastiche gambe e l’inizio delle sue mutande di pizzo, pronta a farmi innamorare di nuovo per poi lasciarmi per poi rifarmi innamorare per poi dirmi che non vado bene per poi lasciarmi, ad libitum, facendomi finire in un fosso nei giorni dispari dell’anno e in una settantina di quelli pari: “Wow, figo. Stasera vieni da me?”. E io, nell’insegnamento dei miei saggi: “No, ho già un altro impegno”. Evitandomi dei guai. Affrontandoli di petto.
 
ECCO IL CAPITOLO ZERO DI MIRABILI VITE, PUBBLICANDOLO COLGO L’OCCASIONE PER INVITARVI TUTTI ALLA PRESENTAZIONE DEL 26 NOVEMBRE ALLE 21 A NEXT STATION A BERGAMO
 
Matteo Bonfanti