“Addio, dimentica e perdona / E brucia le lettere come un ponte / E che sia il tuo viaggio coraggioso / che sia dritto e semplice”. Sono i versi di Iosip Brodsky, uno dei più grandi poeti del nostro tempo. E sembrano perfetti per il Papu Gomez, da qualche ora passato da Bergamo a Siviglia. Gli umani lo sanno: gli addii sono sempre tristi, velati di melanconia, mai allegri. Soprattutto se improvvisi e imprevisti. Alejandro Gomez, detto Papu, 33 anni il giorno di San Valentino,ha lasciato l’Atalanta dopo sette stagioni in nerazzurro, nell’età dell’oro del club atalantino. E’ arrivato dal Metalist di Karkhiv, dove infuriava la guerra, per cercare a Bergamo, dopo i fasti di Catania, il rilancio. E c’è riuscito appieno. Prima con Colantuono, poi con Reja infine con Gasperini che è stato il suo taumaturgo, seppur complesso, e che lo ha istruito trasformandolo in fuoriclasse di fama mondiale. Sembrava un legame, con la città e con i tifosi, indissolubile tant’ è vero che il campione argentino ha elevato Bergamo a sua città definitiva, senza più peregrinare. Ma nella vita nulla è lineare o quotidiano. Succede spesso un trauma, una rottura, un imprevisto, alcune volte doloroso altre volte felice. E allora si deve ricominciare da capo. Come è successo a Gomez, come è successo all’Atalanta. Bergamo è ancora permeata della religione cattolica. E ha bisogno di santi in cui credere. Adesso che la città e il contado sono abbastanza secolarizzati, vale a dire con una buona dose laica, i santi sono abbandonati sugli altari e vengono sostituiti da coloro i quali permettono sogni magari proibiti. E il popolo nerazzurro ha da sempre l’esigenza di credere in qualcuno. Ecco allora negli anni ottanta Glenn Stromberg, poi Cristiano Doni, benché finito negli inferi, e adesso il Papu Gomez. Nel giuoco del calcio spesso ci si trova davanti ad un bivio: il fuoriclasse o la squadra. E un allenatore come Giampiero Gasperini la cui filosofia fondante è il collettivo o, se si vuole, l’insieme di una comunità, si badi non totale bensì totalitaria, che non ammette derive, sceglie il bene comune. E dunque, seppur doloroso, addio ad un capitano riottoso, avanti con un’unione di intenti. E’ proprio vero: sic transit gloria mundi.
Giacomo Mayer