E’ già passato un anno, oggi iniziava il lockdown e a me pareva una cosa stranissimissima. Ero qui in redazione da solo ed ero uscito ad abbracciare un albero per via del bisogno di un contatto minimo con qualcosa di animato. Sapevo che la situazione era bella incasinata, ma pensavo che in estate sarebbe finita per sempre. Invece siamo in zona arancione scuro, prossimi al rosso, sicché allo stesso punto di prima, come in un assurdo gioco dell’oca, ma con alle spalle dodici mesi che hanno messo a dura prova ognuno di noi, chi perché ha perso qualcuno di caro, chi perché sta andando fuori di cranio, chi, ancora, perché non ha più un euro in tasca.
Non è andato tutto bene, solo questo. Ma la responsabilità, almeno qui, dico a Bergamo, tra la gente che conosco, non è dei cittadini, che hanno dimostrato un senso di responsabilità eccezionale di fronte a qualcosa di mai accaduto prima, la totale eliminazione dei nostri diritti inalienabili, la sanità, la scuola, il lavoro e la libertà che deve sempre fare rima con lo svago, qualcosa di necessario, mentre fuori sentivamo passare continuamente le sirene dell’ambulanza.
Dal fronte, perché è stata una guerra e per molti versi lo è ancora, pur non avendo competenze, penso che questa tragica emergenza sanitaria sia stata il frutto di anni e anni di malapolitica, tutta, a destra e a sinistra, rappresentanti scelti a caso dai nostri partiti, senza manco una minima competenza in un campo che sia uno, spesso privi di una coscienza civica, quelli che hanno messo i malati covid nelle case di riposo, quelli della mancata zona rossa quando tutti potevano essere salvati, quelli che hanno fatto saltare il governo nel momento cruciale della corsa mondiale al rimedio. Ora è lo stesso, col casino dei vaccini che non ci sono perché in Europa siamo rimasti gli ultimi della fila, quelli che tengono il cerino in mano.
Credo anche che abbiamo smesso da tempo di vivere in una democrazia, che significa che uno vale uno. Qui non più, da tempo, ma ora ancora di più, con i capitani delle grandi aziende sempre tutelati, mai i lavoratori, prima trattati come carne da cannone, adesso totalmente impoveriti, alcuni addirittura ignorati dalle nostre istituzioni.
E ora la smetto, vado ad abbracciare il mio albero. Perdonatemi se vi ho intristito, solo credo che nessuno di noi debba dimenticare, smettendo di interrogarsi sulle colpe di questo anno di merda che continuamo a vivere mentre loro continuano a chiederci di stare buoni e muti, a Sanremo come a San Siro, ripetendoci “state a casa mentre noi troviamo una soluzione”. Che però non trovano mai. E chissà quanto durerà visti tutti i soldi che hanno da spartirsi, nell’emergenza, che si chiama così perché salta ogni controllo sui denari che hanno in mano.
Matteo Bonfanti