Così, nell’anno che sta per iniziare, voglio riprendere a sognare in tecnicolor. Testa, tacco, rovesciata, dribbling e tackle il martedì e il giovedì dalle 20.30 alle 22 a Orio al Serio, il nostro Camp Nou, con la stessa foga di chi sta giocando la finale di Champions League. Voglio una domenica senza pretese, a pranzo da mia mamma e poi a San Siro con Ernesto e con mio babbo a cantare Forza Milan. E un’altra al Gewiss Stadium coi miei figli, due tiepidi, ma tenaci atalantini, magari con la Dea che batte la stupenda Inter di Conte sei a zero e i golassi li fa tutti Ilicic in rovesciata, che è l’idolo assoluto della nostra famiglia. Sogno di tornare a raccontare della Cisanese, del Casazza, della Fiorente e di tutte le altre squadra bergamasche, che sono un sacco e vanno dalla A di Azzano alla Z di Zingonia Verdellino. Rivoglio le mie facce, quella di mister Luzzana, che è buono come il pane tranne quando sta in panchina, quella del Guaro, che tra un lancio perfetto e una bordata da fuori area porta il Gorle in Promozione coronando il sogno di una vita, quella di Lochis, il pres che piano piano porterà il Valcalepio in Serie A (per battere la Juve a Torino). Voglio stare in tribuna col Bercy, che sa vita, morte e miracoli di ogni trequartista passato nella nostra regione e sa dirmi chi dei giovani davvero vale. Voglio annottarmi ogni azione della Calcinatese per dare il primo dieci in pagella a Bellina, che ha un cuore grande grande e due piedi da giocoliere. E voglio vedere dal vivo il trecentesimo gol di bomber Sora. Voglio la mia domenica, tornare in redazione dopo le partite e iniziare a tirare una serie di parolacce infinite perché il dirigente con cui eravamo d’accordo ha visto perdere i suoi ragazzi nove a uno nel bresciano ed è in crisi nera e ha staccato il cellulare. Voglio il mio lunedì, in giro coi giornali, tra una telefonata per ringraziarmi del meraviglioso articolo che ha fatto il Fabry e una di un incazzatissimo genitore per un immeritato cinque e mezzo in pagella al suo ragazzo. Rivoglio il calcio, che è la mia vita, in campo coi miei soci, in tribuna coi miei amici, in ufficio coi miei colleghi e con i nostri meravigliosi collaboratori. In questi mesi ho sentito fortissimo che il pallone è la mia famiglia, con i presidenti che li sento più o meno come dei papà, gli allenatori e i dirigenti uguali uguali a fratelli, i calciatori, per via che ho passato da un bel pezzo la quarantina, sono quasi come figli. E dio se mi mancano e dio se mi sono mancati. Quindi vorrei che il 2021 me li facesse riabbracciare tutti, anche a cena, che la gran parte fa pure un sacco ridere, ma soprattutto nel nostro posto, il famoso rettangolo di gioco, il nostro paradiso.

Matteo Bonfanti