Ci sono storie fantastiche, lungo lo Stivale, tutte da scoprire e raccontare.
Sono stato a Buti, splendido borgo sospeso tra le dolci colline pisane, tra castelli, storici frantoi ed ulivi secolari.
Qui, è nato, vive e lavora, un atalantino toscano, il grande Alberto Gennai.
A mezz’ora dalla Piazza dei Miracoli, dove mio figlio Edoardo aveva appena alzato al cielo una riproduzione della Torre Pendente, come fosse la Coppa dei Campioni.
Alberto ha ospitato me, e la mia famiglia, nella sua Trattoria Paccì, facendoci davvero sentire a casa, come poche volte capita nella vita.
Lui è un atalantino vero, abbonato all’Atalanta da molto prima del Miracolo gasperiniano.
“La mia casa dista, da Bergamo e dall’Atalanta, esattamente 359 km, che percorro ogni volta – da solo – con passione rinnovata”, mi racconta Alberto.
Il suo battesimo fu ormai trent’anni fa, in un Bologna-Atalanta che non dimenticherà mai.
Alberto mi mostra la maglia “sudata” di Maurizio Ganz, che tiene come un cimelio assieme ad una dozzina di altre storiche ed originali maglie della Dea.
Tra le altre, quelle di Raimondi, Doni, Migliaccio, fino a quelle di Comandini e Magallanes, a testimoniare una passione vera, nata in anni certamente meno gloriosi, ma pieni di vita.
Mentre addento meravigliosi crostini toscani e indimenticabili stringozzi al ragù di cinta senese, Alberto urla – con tipico accento toscano – ad un amico interista che passa per la via: “una volta che ci batti, passi con un sorriso così? Corri va…”.
Io, che sono atalantino semplicemente perché bergamasco, mi scontro – felicemente – con una realtà di orgoglio e senso di appartenenza per la Dea, per nulla raro, fuori dai confini orobici.
A nome dei “Semper in Trasferta” ho voluto fortemente portare la nostra sciarpa celebrativa dei quarti di finale di Champions League del prossimo 12 agosto, che Alberto aggiungerà ai suoi tanti ricordi atalantini, che colorano di nerazzurro ogni angolo della sua splendida Trattoria.
Alberto, invece, mi ha regalato una serata magica, che mi ha riempito il cuore.
Con i miei figli, prima di andarcene, ha intonato cori da stadio come “Dai Dea non mollare, per gli ultrà, per gli ultrà, dai vinci per Noi…”.
Ci siamo salutati con il gomito e con la mascherina atalantina, ripromettendoci un abbraccio vero, quando la vita vorrà.
Non abbiamo fretta, perché ci siamo abbracciati con gli occhi.
E quanto calore ci siamo regalati.
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