Dopo mesi in cui ci chiedevamo come sarebbe ripartita la scuola, tra proposte, incertezze e quesiti, ecco da due settimane la riapertura. Una riapertura in cui si tenta, ostentatamente, di tornare alla normalità, una regolarità che, ormai, ha assunto connotati diversi. Un ritorno alle abitudini “eccezionale”, in cui le regole si trasformano in veti: non si può più giocare insieme, non si può cantare, non ci si può abbracciare, non si può pranzare tutti insieme a mensa. “La scuola dei pallini” definita dai bambini delle elementari, pallini sui quali essi stessi sono costretti a “soggiornare” durante la ricreazione, ovvero il momento emblema di libertà e svago che, ahinoi, è invece diventato una costrizione dentro uno spazio delimitato. Una scuola in cui le distanze sono più che fisiche, mentali… pochi sorrisi e molti “non si deve”, “non si può “.
La distanza emozionale di una generazione di bambini e adolescenti che non vivono più la loro libertà, ma “si vedono vivere” dietro una mascherina che li debilita sensibilmente, li depaupera empaticamente. Chi è allora il bambino, l’adolescente? “Uno, nessuno, centomila”(come cita Pirandello)… è in un gioco delle parti dunque, dove ognuno recita a soggetto la parte che gli spetta…
E, a questo proposito, il consueto gioco del silenzio diventa “strumento didattico” di prassi alle scuole dell’infanzia, così com’è prassi questo silenzio eloquente nelle altre scuole di ordine e grado. Nulla può essere ormai guidato dall’incoscienza tipica dell’adolescente, dalla loro normale avventatezza, che è, adesso, da coetanei e, soprattutto, adulti, considerata sfrontatezza, impudenza.
Cos’è allora questo futuro imminente delle nuove generazioni? Questo domani che cos’è? Un urlo silente, un sorriso senza bocca…dove non è neanche permesso lo sgomento e la rabbia, dove questa ” scuola dei pallini”, questa scuola senza abbracci è una ripida discesa emotiva, dove bambini e ragazzi stanno rinchiusi a distanza di sicurezza.
È un grido tacito quello dei nostri figli e studenti, un urlo in cui l’indifferenza dei passanti li rende automi, come nell'”Urlo di Munch”, emblema di questo periodo, dove il soggetto rappresentato sostiene la propria testa e chiude le proprie orecchie, quasi impossibilitato a sostenere il suo stesso grido. Un grido nel quale si concretizza, oggi, la solitudine e lo smarrimento di un momento epocale di agghiacciante incomunicabilità.
Monica Rao