Vaccino sì, vaccino no, una settimana ad ascoltare le giuste ragioni sia di chi lo fa e sia di chi non vuole farlo martedì 20 Luglio 2021

Vaccino sì, vaccino no, una settimana ad ascoltare le giuste ragioni sia di chi lo fa e sia di chi non vuole farlo


    A volte mi sento uno dei pochi No Vax che si vaccinerà. Poi mi passa, succede sempre al momento della prenotazione della puntura che dovrei farmi fare a Dalmine. Sono lì, su gmail, decisino, pronto, ma mi si blocca la mano e allora rimando a domani. Mi salgono dubbi di tutti i tipi. Improvvisamente il cielo sopra la redazione diventa uguale a quello di Berlino, grigio e minaccioso, e buonanotte ai suonatori. Allora fumo una sigaretta e penso. Allora mi bevo un caffè alla macchinetta per essere più presente e penso. E questa cosa, quella di pensare, mi fotte ogni volta da quando ho sei anni. “Buttati, Matti” diceva mia mamma a Zadina di Cesenatico, alla piattaforma dei Bagni 36, nel mio mese al mare. “Forza, popino, senza paura…” e io fermo, mani e piedi bloccati, con le vertigini e i brividini lungo la schiena, che mi piacciono, ma mi mettono lo spavento sulla pelle, ore e ore a decidere se fare o non fare sto figa di tuffo, occupando un posto che non era il mio, insomma il tipico rompicoglioni che sta sul trampolino senza avere bene bene l’idea di cosa fare. L’intero giorno, avanti e indietro, “che figata, sarà un’emozione incredibile”, “ma l’acqua è fredda e da qui è altissimo, chi cazzo me lo fa fare? Ci fosse almeno qualcuno che mi paga…”.
    Va così, se mi fermo a riflettere, non ne arrivo a una. Finisco in quel famoso limbo shakespeariano, essere o non essere, questo è il problema. Mi manca il teschio vero, ma ce l’ho comunque, di plastica sul comodino, preso dai cinesi, di quelli che di notte diventano verdi fosforescenti. E va bene anche finto, del resto non andrei mai e poi mai al cimitero a rubarne uno fatto di ossa umane.
    C’è che devo vaccinarmi. Devo perché qui a Bergamo ci siamo presi una strizza terribile, nell’aprile del 2020 morivano d’un colpo i nostri vecchi, l’intera nostra storia. Ed era un dramma, un’angoscia al petto continua e infinita. Abbiamo rischiato di perdere la generazione che ci protegge dalle minchiate che potremmo fare di nuovo. Stavamo affogando nel bicchiere dell’emergenza sanitaria. Devo per lavoro, scrivo e ho bisogno di spostarmi liberamente, vedere, andare e fare, spesso senza programmare, seguendo la scia delle nuvole, il fiume delle parole, i raggi di sole. Devo perché l’hanno fatto tanti miei amici, ragazzi in forma, che non si ammalerebbero mai, ma che si sono lasciati pungere nell’idea meravigliosa che siamo barche dello stesso mare, la nave da crociera e la barchetta dei pescatori, la più forte e la più fragile. Durante la tempesta la prima tira a riva la seconda. Se non lo fa, è meglio che se ne stia per i fatti suoi a fare la gradassa in uno stagno. Devo perché fumo e bevo, e che saranno mai due dosi di Astrazeneca in vena?
    Eppure solo questa settimana tre persone molto più intelligenti di me mi hanno detto che fare il vaccino è un errore. Intanto viva la libertà, che io questa cosa ce l’ho un sacco, e allora non devo perché i nostri governanti stanno cercando di imporcelo, col ricatto più terribile in una repubblica fondata sul lavoro, una brutta cosa che sta avvenendo in tutte le strutture ospedaliere, a scuola, e, prossimamente, è una proposta di oggi, persino nelle fabbriche, “ti pago lo stipendio, ma solo se ti fai fare la punturina”. Non devo perché tanti vaccini del passato erano veleni e questi qui, dico quelli che ci stanno proponendo, non è che siano il frutto di anni e anni di test, prove che riducono al minimo le controindicazioni. Non devo perché ora il covid si cura, non solo con la medicina tradizionale, ma pure con quella alternativa. Non devo perché Gallera, il politico che a marzo del 2020 ha mandato i malati di coronavirus nelle case di riposo, in Regione non c’è più. Non devo perché ho seguito bene bene l’intera vicenda e la mancata zona rossa ha avuto lo stesso impatto di una bomba al napalm lanciata nelle aziende e nelle case delle nostre valli e adesso non ce la butterebbero addosso più. Non devo perché è il distanziamento che cambia il numero dei contagi e avanti così a ottobre saremo ancora tutti dentro, rinchiusi nel nostro appartamento a giocare a guardie e ladri, perché ci è capitata sta sfiga e dobbiamo cambiare le nostre abitudini. Non è la pozione magica. Non lo è stato mai.
    Così sono confuso. E penso che scriverne sia farmene una ragione, soprattutto grazie ai commenti e alle esperienze di chi avrà voglia di raccontarsi, spero con un dialogo sereno, senza offese tra fazioni, per avere un’idea precisa nella babele che viviamo, quella dell’informazione. E sogno che come sempre le parole in circolo mi aiutino a trovare il coraggio che mi serve per fare una scelta, buttandomi dal mio trampolino, finalmente, senza paura.
    Matteo Bonfanti

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