di Simone Fornoni

Il segreto del successo attuale, per non dire di quello futuro nella girandola degli assetti costantemente in discussione e in ridefinizione, dopo aver patito qualche alto e basso figlio dell’eccesso d’impegno in un calendario compresso, forse è di non dover pendere dalle labbra e dai piedi di anima viva. I campioni delle domeniche preferiscono parlare coi fatti, pensando positivo e non rimuginando a mezzo social network. Troppo facile e troppo comodo fare i nomi del duo colombiano, Luis Muriel e Duvan Zapata, ovvero assist e gol per il connazionale, gol e assist per Robin Gosens. Nel 4-2 al Napoli, amnesie difensive a parte, l’Atalanta ha dimostrato una volta di più che il segno meno della partenza al calciomercato di gennaio del reprobo Papu Gomez può essere colmato senza bisogno di esprimere un leader per forza. Nel coro di individualità e nel gioco delle coppie, anzi, se ne trova uno diverso o anche di più a ogni allacciata di scarpe. Per suturare la ferita lasciata dal Grande Assente, tipo verbosissimo per carattere fino allo scontro frontale con chi è più grosso di lui in tutti i sensi, c’è voluto un po’, a pelo d’erba e anche nell’ambiente, ma adesso l’orizzonte appare più limpido. Regalando protagonisti non sempre attesi né accreditati di chissà quali doti miracolistiche a bocce ferme.

L’ATALANTA DEI TANTI LEADER. Matteo Pessina, per dire, non sarà mai un primo tra i pari, eppure la doppia semifinale coi Ciucci l’ha risolta lui imbracciando la doppietta dopo aver asfissiato di pressing il portatore di palla Bakayoko. Chiamiamolo portatore d’acqua, seppur di lusso, certo una sorpresa, vista la natura di prestito di ritorno nella scorsa estate. Al netto del dibattito accademico su cosa sia realmente la leadership e come si eserciti, intanto, i nerazzurri rimodellati da Gian Piero Gasperini secondo nuovi equilibri tra campo e spogliatoio stanno risalendo prepotentemente la china in campionato, dopo aver strabiliato sugli altri due fronti, quello del trofeo domestico, la Coppa Italia, e la Champions League con la seconda, storica qualificazione agli ottavi di finale. Lasciando da parte il Real Madrid per un attimo, visto che tanto fra due serate si saprà come andrà a finire e quale sarà il punto di partenza per scrivere un capitolo inedito del libro dei sogni, scoprendo magari protagonisti nuovi, va sottolineato che esistono tre capitani a pari merito per stessa ammissione del comandante in capo. Una leadership emozionale, fondata sull’autorevolezza e l’attaccamento alla casacca, non sull’autorità. Quella, ormai è assodato, ce l’ha soltanto l’uomo di Grugliasco. E guai a chi la mette in discussione. 

CAPITANI CORAGGIOSI. Le gerarchie, sulla base delle presenze, dicono Rafael Toloi, nazionalizzato e reso azzurrabile dalla Fifa dietro richiesta della Figc, Remo Freuler e Marten de Roon. L’italobrasiliano, alla vigilia del big match per il sorpasso in classifica alla quarta di ritorno, è stato pubblicamente elogiato dal mister per il suo essere da esempio per i compagni pur senza bisogno di alzare la voce. Che poi si sia scordato di tamponare Piotr Zielinski sulla volée buona a riaprire il discorso per un amen è un altro paio di maniche. Ma mica c’è solo lui. I due mediani, invece, sembrano personificare l’ideale del sacrificio perenne a favore di tutti gli altri, da dighe mobili pronte a esondare nella metà avversaria.

ROMERO, LEADER AGGRESSIVO. Dal leader silenzioso che sale sempre a sostegno della manovra, spesso fungendone da primo regista avanzando dal vertice di competenza, a quello decisamente più aggressivo. Il caso di Cristian Romero, terzo sigillo d’annata dopo Midtjylland (al ritorno) e Milan (a San Siro), francobollatore implacabile del terminale nemico, da Lukaku a Osimhen passando per Ibra, e perfino vice Toloi a Cagliari facendo dimenticare il sodale squalificato, è eclatante. Sprigiona da tutti i pori una garra tale che la Juve si starà già pentendo del suo parcheggio a Bergamo con diritto di riscatto. Un ’98 che gioca con la scioltezza e la decisione di un veterano, cementando i mattoncini del ribaltamento di fronte fino a usare la testa in modo perfetto, conclusioni comprese. 

MURIEL E ZAPATA, LEADER OFFENSIVI. Quanto ai due cafeteros, Josip Ilicic lèvati, ultimamente non è apparso così necessario. “Serve che abbia condizione e gamba per poter offrire quello che sa alla squadra”, ha sibilato il Gasp ieri sera a chi gli chiedeva se con la panchina contro i Gattuso-boys avesse voluto risparmiare il suo fuoriclasse. Non decisivo, almeno non in questo momento, in discesa decisa dopo le faville per mozzare la coda al Diavolo. L’ex bomber di scorta in realtà da subentrato ne ha piazzati solo un poker in campionato e uno in Champions, ad Amsterdam. Scendendo in campo trenta volte su trentatré, contro le trentadue (panca fissa coi sardi nell’ottavo della coccarda) del compatriota in prima linea insieme a lui. Muriel-Zapata, o meglio Zapata-Muriel, visti i vertici puntati ultimamente, sono complementari. Hanno appena scritto nero su bianco la trentina insieme, diciassette Luigino (quattordici in A) e tredici (nona sinfonia) il Toro di Cali. Al dunque, uno che si erga al di sopra degli altri con la stessa maglia serve alla causa oppure no? Negativo, se tutti a loro modo riescono a essere leader. Un coro di solisti, appunto, un ossimoro soltanto in apparenza, perché rimboccarsi le maniche quando si rischia di non sfondare è abnegazione, mica prosopopea fine a se stessa. L’importante è non destabilizzare il gruppo. E la gran massa dei tifosi è assolutamente convinta che il 10 scartato abbia pagato l’averlo fatto.  Forse se ne convincerà anche il sottoscritto, vedova del Papu per antonomasia, non così limitato da non ricredersi davanti a dati reali e soprattutto fatti succosi.