di Marco Bonfanti
Ci sono dei fili nell’aria che, a volte, a saperli cogliere ed intrecciare vanno a formare una storia.  Domenica questi fili si sono dipanati in un bel pomeriggio di sole, ho cercato di coglierli ed ora ho questa storia da raccontare.  La storia ha a che fare con la partita del Lecco, ma più che centrarla, la sfiora solamente.  Il solito gruppo non è andato a vedere la partita. Io ho dato forfait perché in settimana non ero stato bene, gli altri impigriti dalla diretta juventina delle dodici e trenta hanno soprasseduto pure loro. Insomma la compagnia è rimasta a casa. Beppe, ligio al dovere e all’opera di bene di andare a trovare un ammalato, è venuto da me domenica pomeriggio. Insieme ci siamo guardati “diretta gol”. A d un certo punto sono andato al computer per vedere cosa stesse facendo il Lecco. Era finito il primo tempo ed il Lecco perdeva due a zero. Lì, davanti al computer, e con quel risultato ho trovato i fili di questa storia. Il suo protagonista non sono io, ma l’altro mio fratello maggiore Franco.  Anche Franco per qualche anno è stato un collaboratore  di Bergamo & Sport. Seguiva una squadra: la Gandinese, che non mi ricordo più in quale categoria calcistica militasse, forse in Promozione o forse in Eccellenza. A Franco piaceva molto quel compito a cui si dedicava con costante passione. Considerarlo un giornalista era per lui fonte di piacere e d’orgoglio. Non mancava occasione che si qualificasse come tale, per ricevere i giusti e ammirati complimenti. Anche con me non perdeva  occasione per rimarcare quel suo ruolo. Tanto dal cercare, in più di una occasione di coinvolgermi, costringendomi a seguirlo nelle sue cronache casalinghe. Per mio inveterato e illimitato vizio gastronomico più delle partite mi ricordo le abbondanti mangiate in una trattoria del paese, però poi qualche partita l’ho pure vista.

A Franco più che il calcio giocato piaceva la cornice entro cui lo spettacolo si svolgeva, e allora mi mostrava il pubblico, i dirigenti, financo il tempo, e per ogni cosa aveva una sua folcloristica parola. Franco in gioventù era stato un buon calciatore, rovinato anzitempo dalla scarsa volontà e da un assolutamente nullo spirito di sacrificio. Però ancora andava fiero di come nei tempi andati sapesse dare del tu alla palla e soggiogarla ai suoi comandi e alle sue piacevolezze. Logico quindi che più che amare la squadra, amasse i singoli giocatori. Tra tutti quelli della Gandinese  uno aveva riempito il suo cuore ed il suo spirito di una spiccata ammirazione: Spampatti. Se tu sentivi parlare Franco di Spampatti, e non l’avevi visto giocare, ti figuravi un campione abile in tutti i fondamentali calcistici, ma soprattutto nella capacità di andare in gol, segno dell’attaccante di razza. In effetti lo era, seppur commisurato, per quanto poi da me visto, alle categorie in cui praticava il gioco pallonaro. Franco ammirava molto la bravura di Spampatti, ma più di questa la  sua limitata ambizione a tendere verso traguardi più alti, che pur meritava. Mutatis mutandis, si riconosceva in lui, seppure il giocatore della Gandinese non avesse in sé gli eccessi che avevano caratterizzato la sua breve esperienza calcistica. Gli piaceva di lui la sicurezza che certamente doveva avere nelle sue capacità, per cui non aveva niente da dimostrare a nessuno  perché era conscio, quel tanto che basta, delle sue possibilità. Per questo non cercava un salto o un approdo più alto e più impegnativo.  Bene, domenica era esattamente un anno che Franco è mancato.  Bene, quando sono andato al computer a vedere cosa faceva il Lecco, ho visto che perdeva due a zero con la Pro Sesto e che i due gol del vantaggio li aveva segnati entrambi Spampatti.  Questi sono stati i due fili che si sono intrecciati a formare questa storia. Sì, perché quei due gol ad un anno esatto di distanza, mi sono sembrati un omaggio postumo al mio fratello maggiore.  Il quale, se ci fosse ancora stato, mi avrebbe detto, con il suoi abituale tono polemico: ”Eh sì, tu sì segui pure una squadra di malcapitati ondivaghi, ma guarda un po’ chi li ha infilzati. Il calcio sarà pure un gioco di squadra, ma se mancano i singoli che accendono la fantasia, è ben poca cosa, come diceva quello, tutto il resto è noia”. E che avrei mai potuto ribattere? Dopo che nel mio forzato casalingo mi ero visto partite una peggio dell’altra, avrei , come già tante altre volte in passato, dovuto accettare, con un sorriso, magari con una battuta, la saggezza della maggiore età.

NELLA FOTO: SPAMPATTI (ORA ALLA PRO SESTO) AI TEMPI DELLA GANDINESE