di Marco Bonfanti

Dopo le  ultime tre inguardabili partite, sotto una pioggia fitta e costante, il Lecco tira fuori una partita dignitosa, pareggia a Piacenza, ma avrebbe anche potuto vincere. Anche se quello vero, tanto sperato, non c’è stato, un sole all’improvviso ha illuminato il Lecco, che ieri è sembrato almeno, essere tornato a giocare a calcio. Una coscienza ritrovata, e allora tre-quattro  passaggi di fila, qualche assist smarcante, una trama di gioco che si dipana, una squadra che, per larghi tratti si ritrova e si ricompatta. Certo non tutto è filato liscio, se centrocampo e attacco se la sono cavata, la difesa è rimasta ancora troppo spesso distratta e si è fatta infilzare con ingenuità, tanto che i tre gol del Piacenza parevano evitabili. Ma ci si può anche accontentare, se non altro il nostro Pollicino ritrova la strada di casa, esce dallo stato confusionale precedente, rimette il gioco del calcio al centro del proprio operare, seppur, ancora, non in maniera del tutto lineare.  E fin qui la partita.

In quanto a noi,  ieri è stata una bella giornata dai molti aspetti: ambientali, culturali, culinari, fin religiosi e naturalmente sportivi.  Io ero lì che aspettavo i miei soci e me ne stavo nel mio piccolo giardino, al riparo dalla pioggia battente. Aspettavo e mi guardavo in giro. E allora ho visto, dicono che l’arte sia proprio questo vedere qualcosa di consueto come se fosse nuovo, che nel giardino c’erano diversi toni di verde. Perché uno era quello dell’erba, ma un altro quello della salvia, uno quello del rosmarino e un altro quello del pittosforo.  E allora ho pensato che in questo nostro frenetico, ma distratto andare, ci perdiamo un sacco di cose e di sfumature. Poi mi sono aggiunto che questo pensiero, e pur anche i diversi verdi, non mi portavano proprio da nessuna parte, quindi me li potevo tenere con me, così, diciamo a gratis, per dire.

Poi sono arrivati gli altri. E siamo andati verso Piacenza. Presto la mattina avevo scelto il ristorante che era l’”antica osteria del cacciatore” a Monticello di Gazzola, che dicevano vicino a Piacenza, ma in realtà vi distava più di trenta chilometri. L’avevo scelto perché nelle mie fonti tecnologiche si diceva che era condotto da una russa piuttosto severa, con un marito italiano, trattato da lei piuttosto male, e così mi sembrava una nota di colore da non perdere. Strada facendo ho telefonato e la russa si è subito mostrata per quello che era, indicando le dodici e mezza, e non prima, l’orario di ricevimento, con voce dura e diretta.  Ci siamo andati, attraversando pianure e colline piacentine, ammirati dall’ambiente così diverso dalle nostre quattro soffocanti montagne, mentre io, sempre immerso nei miei verdi mattutini, ne ho potuti aggiungere altri alla collezione mentale. Ci siamo ritrovati così, nei paraggi del ristorante che ancora mancava un quarto a mezzogiorno, quindi con del tempo da riempire.  E pure che pioveva forte. Per fortuna ci è venuto in soccorso un misconosciuto santuario, abbastanza piccolo e privo di attrattiva, ma che comunque ci poteva offrire un riparo. E ci siamo entrati che c’era la messa e i fedeli non erano più di dieci. Ma lo racconto perché il celebrante, cosa da noi mai vista, era un prete di colore (non dire nero, mi ha suggerito Carlo, che se no poi ci prendono per razzisti).  E questo uomo di colore sembrava avere una fede a prova di bomba e parlava ispirato, ma anche documentato. Nella, piuttosto lunga, predica, ha pure detto che il credente non è mai perdente e così io, irrispettosamente unendo il sacro al profano, ho pensato: speriamo allora che oggi il Lecco ci creda.

Poi il pranzo, con le promesse della russa e dell’uomo effettivamente realizzate, ma anche con cibo e beveraggio buoni e sostanziosi. Ma non mi dilungo su quello perché poi c’è un’appendice che riguarda la partita. Siamo venuti via da là che c’erano i trenta chilometri da fare, e così siamo arrivati allo stadio che la partita era già iniziata. E lì in tribuna ne abbiamo seguito l’andamento. E abbiamo notato che i tifosi del Piacenza erano piuttosto cupi e non capivamo questa cupezza per un pareggio. Così alla fine del primo tempo abbiamo chiesto a un tifoso loro cosa mai non andava e lui ci ha gentilmente risposto che quello che non andava era che il Piacenza stava perdendo. Così solo allora abbiamo saputo che il Lecco aveva già segnato, mentre noi stavamo guardando la partita con occhi diversi.   E così io sono ritornato ai miei verdi: vedi, mi son detto, come cambiano le cose con un altro sguardo?