di Marco Bonfanti
Alla fine del primo tempo mi chiama Sergio. Lui e Carlo, come sempre sono assisi nell’alto della tribuna e, ieri, nell’alto di un freddo cielo, coda rabbiosa di un inverno che sembrava finito. Mi chiama per dirmi che sta vedendo un grande bel Lecco. Confermo. Aggiungo che è il miglior Lecco della stagione. Ed è certo un po’ tardi, avviati come siamo alla chiusura di questo infelice torneo. Alla fine del primo tempo il risultato è di parità, uno a uno. Ma non ci sarebbe niente di straordinario se fosse il Lecco ad essere al comando. Le occasioni fin lì le ha avute la squadra bluceleste. Ha ordito una trama ben orchestrata. I vari strumenti hanno suonato all’unisono. Forse per la prima volta si sta ascoltando una sinfonia. Una musica di squadra, a cui, chi più e chi meno, partecipano tutti. Io e Beppe, in basso e infreddoliti, siamo finalmente contenti e rilassati. E’ da un po’ che aspettiamo una prova corale come questa. E finalmente la squadra di casa sembra darci la giusta soddisfazione. Perlomeno non si tratta di noia. Perlomeno si tratta di vivacità. Di palla che gira. Di passaggi giusti. Di geometrie non sghembe. E di furore agonistico quanto basta e quanto serve.
Il tempo non ci è stato clemente. Come testimonia la foto di un Beppe imbacuccato per l’occasione, vien giù dai nostri monti un vento gelido. L’aria fredda toglie quasi il respiro e ci riaggancia alla primavera capricciosa per natura. La bella donna primavera che prima ti regala calore e sorrisi e poi si imbroncia. Ma il  freddo passa veloce. Perché in campo par di vedere, o meglio si vede, una partita vera e calda.
Avevamo detto la scorsa settimana che saremmo stati curiosi di vedere se la prima in classifica ci avrebbe regalato nel nostro itinerante viaggio, una qualche opera d’arte. Un qualcosa di diverso dalla pochezza fin qui mostrata da quasi tutte le squadre. Se, ci si chiedeva, avremmo finalmente visto un colpo di magia, un qualche mirabolante gioco di prestigio. Invece  neppure il Pro Piacenza, in vetta con un sacco di punti di vantaggio, sembra essere chissà che meglio. Sì, una squadra quadrata, che gioca a memoria e che riesce a produrre, ogni tanto, qualche spunto degno di nota. Ma neanche niente di più. Che poi essendo squadra giovane, te la aspetteresti formata da atleti imberbi, per così dire, combattenti di primo pelo. Qualcuno ce n’è pure, ma l’architrave del gruppo è formato da tre vecchietti, tutti senza capelli, che tra difesa e centrocampo, reggono il gioco, rompono quello avversario e propongono il proprio. Tre vecchietti dicevamo, tanto che la miglior battuta sentita domenica allo stadio e riguardante uno di loro recitava testualmente: “pelato…stai attento ad alzarti la maglia, che ti cade il libretto della pensione!!!”.
E siamo rimasti alla fine del primo tempo. Poi c’è stato il secondo ed ancora il Lecco ha giocato bene. Bugno, difensore bluceleste, ha pure segnato un gol da antologia. Ha preso palla a centrocampo, si è sciroppato con eleganza un paio di avversari, ha corso come un cavaliere del Far West e, giunto davanti al portiere, lo ha fulminato con un secco e preciso colpo di pistola.  Era il due a uno. Poi inevitabilmente il Lecco, non ancora pienamente convinto di sé, si è tirato indietro. E loro hanno pareggiato. E noi abbiamo pensato, comunque, che eravamo alla pari e che, con un altro campionato, avremmo potuto essere alla pari anche in classifica. Ma abbiamo perso troppe occasioni. E troppi treni per Yuma.
Ed è così che va.  Al pomeriggio ero allo stadio. Invece alla mattina ero a Bergamo a trovare un acrobata che, durante uno dei suoi magici numeri, era rovinosamente caduto.  Cose che capitano a chi vola. Solo chi vola può cadere a terra. So che l’acrobata mi legge e allora lo spero  presto ancora sul filo dei suoi numeri. Sugli spazi grandi dei suoi voli.
Sappia che io, come sempre, lo aspetto.
E so che mi correrà, nuovamente e come sempre, incontro.

(nella foto, un intirizzito Beppe)