di Marco Bonfanti
Lecco:  vittoria netta per tre a zero sul Legnago, si muove così la classifica e si fa un passo avanti per allontanarsi  dalla palude dei playout che ora sta a cinque punti, insomma è ancora lì, ma con un po’ più di distanza.  Vincere per tre a zero il più delle volte significa aver giocato una bella partita, aver dominato gli avversari, aver attuato una manovra avvolgente, ma soprattutto efficace. Insomma, come si suol dire, aver avuto il pallino della partita per l’intera gara. Ma così ieri non è stato affatto, dacchè il Lecco ha giocato soltanto dieci minuti nell’arco dei canonici novanta. Il primo tempo era stato di quelli soliti: poco giro di palla, gioco approssimativo, passaggi sbagliati, nessuna efficacia davanti, niente azioni ficcanti. Ci si sbadigliava come sempre, presi, nel vedere, dal solito dilemma tra noia e frustrazione, tanto che io e Beppe, vedendo una forte aria che smuoveva gli alberi di fronte, ci siamo detti che era una partita con vento. Convento nel senso che c’era a galoppare quell’elemento atmosferico, ma anche convento perché in campo si muovevano ventidue pellegrini, che, come novelli frati, facevano dell’umiltà, della sobrietà e della contemplazione il loro marchio di fabbrica.

Poi è successo che il primo tempo è finito e mentre i giocatori se ne tornavano negli spogliatoi, qualcuno ha gridato all’allenatore: “Cotroneo, insegna a quei derelitti a giocare, insegnaglielo, che l’è  ura!” e uno di rimando, e pure sconsolato, ha detto: “Come se potesse riuscirci, in un quarto d’ora poi…”. Però il nostro Cotroneo  quel consiglio lo deve aver preso proprio alla lettera. Forse nello spogliatoio ha trovato quella formula magica capace di condensare in poche parole tutti i fondamentali del calcio. Forse, come un novello re Artù, ha fatto giurare ai suoi uomini che si sarebbero battuti fino alla conquista del Sacro Graal. Forse li ha semplicemente avvertiti che peggio di così non si poteva andare e che quindi, avendo da tempo toccato il fondo, piuttosto che rimanere lì a scavare per andare ancora più giù, era meglio muoversi, bastava anche poco, per cercare di risalire la china.

Fatto sta che è tornato in campo un Lecco trasformato. Non è andata proprio in maniera così lineare, perché il Legnago, a inizio ripresa, ha avuto una limpida palla gol, che però ha sprecato. E come spesso succede nel calcio e nella tradizione orale popolare, “a gol sbagliato, gol subito”.  Il Lecco, nel giro di dieci minuti, ne ha fatti ben tre, cosa peraltro mai successa a nostra memoria di quest’anno, pur tenendo conto della labilità della stessa nelle nostre menti.  Sul secondo gol, arrivato su punizione, vi è stata pure l’espulsione di un avversario, reo d’aver fatto fallo da ultimo uomo in una chiara occasione da gol (oltre che il gergo appropriato, come si vede, conosciamo bene anche le regole).  Dieci minuti vivi, intensi, efficaci, belli e piacevoli. Poi il ritorno della consueta calma piatta, con trentacinque minuti da passare e passati  nel vuoto. In questi casi si dice che la squadra  in vantaggio controlla la partita, e sarà stato pur vero, ma insomma sembrava pure che il tempo trascorresse con una lentezza esasperante, che tanto non c’era più niente né da vedere né da gioire.

E così veniamo ancora un attimo al nostro viaggio, che alla fine si dimostra assai deludente, perché se le squadre avversarie sono i luoghi da visitare, bene, essi appaiono niente più che periferie desolate del gioco del calcio. E neanche il Legnano vi fa eccezione. Domenica prossima ci farà visita il Nuovo Piacenza, prima in classifica, con largo margine dalla seconda. Avrà mai questo luogo un’opera d’arte da mostrarci? Un ameno panorama su luoghi incontaminati? Una bella passeggiata fra monumenti storici e interessanti  architetture?  Ormai dubitiamo. Il calcio giocato per ora non ci dà  che un continuo scendere. Per ora il Lecco si ferma. Così come un viaggio che voleva scoprire l’esotico e per ora si è fermato soltanto all’ovvio.

(nella foto il Lecco che gioca per pochi intimi)