di Marco Bonfanti

Bene, il Lecco ha perso anche domenica, tre a uno in casa, e pure a porte chiuse che se la si voleva vedere (la vergogna), manco si sarebbe potuto.  Così domenica ci presenteremo sul campo del Pontisola,  forti  (anzi deboli) di un solo punticino.  Stagione che si preannuncia dura, che le gioie andranno cercate altrove, per noi che viaggiamo sui vari campi della D, il campo sarà la minor fonte d’allegria. Ma così è già da un po’, e così ci siamo fatti avvezzi a cogliere in altre cose il senso delle belle domeniche. Già che siamo in giro, prendiamoci in giro in altro modo.  Puntuali però lo siamo sempre, una domenica sì e una no, come calendario vuole. Noi quattro, a bordo di un’alfa, l’inizio, scattante. Eccoci: Carlo, imprenditore edile, tutt’ora in attività, Beppe, ex responsabile della viabilità lecchese, Sergio, ex abile luogotenente del responsabile, Marco, cioè io, ex insegnante. Tutti rigorosamente incensurati, che di questi tempi e con i governanti che abbiamo, è cosa di non poco vanto.

Politicamente ci sono io da sempre fedele alla linea (mi chiedo spesso cosa ho fatto di male per nascere di sinistra), gli altri sono meno rigorosi e incaponiti di me. Ci accomuna comunque l’interesse vivo per la politica (uno dei temi più dibattuti nell’abitacolo) e un generale “non se ne può più” rivolto al continuo brutale  accadere politico.  Ognuno di noi, in questo nostro andare ha un ruolo: Carlo è il provetto autista (tira tira e neanche te ne accorgi), Beppe è l’astuto navigatore, io il ricercatore del ristorante che unisca (cosa  assai improba) qualità e prezzo, mentre Sergio è il supervisore del team, che uno che critichi tutti gli altri ci vuole, ed è quasi direi indispensabile al buon funzionamento del gruppo.

Ogni domenica si parte ad un’ora che ci permetta di essere in loco verso le undici. Una volta arrivati, non abbiamo mai niente da fare di particolare, se c’è un mercato visitiamo quello, se non c’è,  giriamo per il centro, finiamo in una qualche chiesa (perché quelle sono dappertutto) e ammiriamo lo stile architettonico del centro storico (ahimè tre su quattro sono geometri) così come qualche bellezza locale (intesa come persona con la a in fondo) (in fondo e nel fondo).  Poi naturalmente c’è il pranzo, vero momento clou della giornata. Io, essendo il faccendiere che ha scelto il loco, passo gran parte del mio tempo a decantare il cibo (punto qualità) e alla fine a dire che beh non è proprio caro (punto prezzo). Gli altri al momento mi danno ragione, che il ben dell’intelletto naviga pesante e altrove, salvo poi rinfacciarmi l’errata scelta nel tempo a venire.  Noi quattro siamo diversamente tifosi. In una scala termica: Sergio è bollente, Carlo caldo, io e Beppe assai tiepidi. Questo lo si può vedere anche da come ci si piazza allo stadio: Sergio e Carlo tesi e in piedi nell’alto della tribuna, io e Beppe comodamente seduti, non disdegnando neppure di chiacchierare con qualche tifoso avversario. C’è però da aggiungere che l’unico che urla sono io, ma lo faccio per folclore e non per fede.

Per quanto riguarda lo stadio abbiamo quasi sempre tre gravi manchevolezze: a) anche se ci siamo già stati non ci ricordiamo più come è fatto;  b) non rimembriamo cosa ha fatto il Lecco l’anno prima; c) né tantomeno chi giocava nel Lecco. Su queste dimenticanze pesa, oltre che una memoria ballerina dovuta all’età, un certo stordimento vaporoso dovuto al pranzo testè consumato.  Quindi con assoluto senso di novità ci godiamo le partite reali, macerandoci nei dubbi (era fuorigioco o no, era fallo o no), che nessun replay potrà mai risolverci. Lenta va la partita e lenta la digestione.

Se siamo un po’ fuori, è giusto così, in fondo siamo andati fuori per quello.