Primavera 2015, tempo di verdetti: tempo di memorabili imprese. Festeggia il primo lustro uno dei trionfi più suggestivi del panorama dilettantistico, riguardante una piazza tutta estro e passione sportiva, quale Grumello del Monte e la Grumellese. Sono infatti passati cinque anni – per la precisione, la certezza del titolo arrivò il 19 aprile 2015 – dal favoloso salto in Serie D del sodalizio giallorosso, presieduto da una cascata di nomi che in tempi recenti hanno fatto la storia del calcio bergamasco, a Grumello ma non solo. Basti pensare a Marco Scaburri, oggi punto di riferimento indiscusso di una realtà dai ferventi propositi di ascesa, come Telgate; oppure Gianlauro Bellani, nei panni della luminosa meteora, giunto dal professionismo per fare ancor più grandi e organizzati i giallorossi. E come non citare Daniele Podavitte, autentico guru del calcio lombardo, capace di vincere ai quattro angoli della regione. Infine, colui che per quella Grumellese è stato il “Pres”, talvolta di nome, ma ancor più spesso di fatto. “Don Diego” Belotti, uomo-simbolo della piazza grumellese: specialmente agli occhi di tanti giocatori legatisi a doppio filo al compianto dirigente. Uno di questi è senz’altro Vincent Lleshaj, dipendente da tre anni a questa parte presso la “Parquet Clio Project” di Belotti, ma soprattutto uno dei più formidabili interpreti dell’epopea di stanza al “Luciano Libico”. Centrocampista moderno, dotato di corsa, tiro e predisposizione all’affondo, o se vogliamo “tuttocampista” abile a fare di atletismo e generosità le proprie migliori virtù, Lleshaj riporta indietro le lancette dell’orologio, raccontando nei dettagli quello storico titolo di Eccellenza, valso l’approdo nel semiprofessionismo, oltre che il momento apicale per una piazza che negli anni non ha mai smesso di far parlare di sé.
Vincent, che ricordo ti ha lasciato quel titolo?
“Era una rosa fortissima, allestita da un gruppo di dirigenti che sapeva il fatto suo. Ricordo quell’impresa come una delle più belle vissuta lungo la mia carriera e che risalta ancor di più davanti alla caratura dell’antagonista più diretto, il Darfo Boario”.
Da una parte la Grumellese di Giacomo Mignani, che negli anni ha dimostrato di conoscere come le proprie tasche la scena dell’Eccellenza. Dall’altra, il Darfo di Marco Bolis, oggi allenatore del Caravaggio. Eravamo davvero al top?
“I nomi si sprecavano da entrambe le parti. Noi avevamo Gherardi (attuale numero uno del Sirmet Telgate, n.d.r.) e loro avevano Nodari (oggi al Valcalepio, n.d.r.), che permane anche oggi uno dei migliori portieri in circolazione. In difesa avevamo Brugali, Grigis e Santinelli, con Cristian Forlani sempre pronto alla chiamata, facendo valere carisma ed esperienza, mentre i camuni potevano contare su Teoldi, ex professionista, su Frank Kamal e sui gemelli Guarnieri. Poi dal centrocampo in su, altri nomi di spicco come Bulla, Menassi, Bigatti, Bonomi e Amassoka; dall’altra parte, i vari Sonzogni, Luzzana, Sorti e Berta. Lungo gli ultimi giorni del mercato estivo, quando già eravamo in piena preparazione, avevamo preso Amassoka, che dimostrò di completarsi benissimo con Gullit, ma se è vero che i campionati si vincono grazie all’apporto della difesa, a risultare decisivi furono i soli 14 gol incassati lungo l’intero torneo. Abbiamo vinto numerose partite per 1-0 e là davanti siamo riusciti un po’ tutti a lasciare il segno. Io stesso chiusi con 6-7 gol all’attivo”.
Gullit e Amassoka, come Yorke e Cole di quel fantastico Manchester United. Chi secondo te fu più decisivo?
“Furono ugualmente decisivi, tanto che chiusero appaiati nella classifica-marcatori, con 15 reti ciascuno. Ma al di là dei gol, diedero mostra di completarsi e di potersi sacrificare; aspetto necessario, perché il 4-3-3 di mister Mignani potesse risultare sostenibile ed efficace. Mi alternavo a Bigatti nel completamento del tridente, ma non dimentico che all’inizio fu particolarmente difficile, per me, quella stagione. Eravamo tutti sulla corda, il gruppo era stato stravolto rispetto all’anno precedente, anche per l’arrivo di nuovi elementi nella dirigenza. Insieme a Gullit e Brugali, rientravo tra i confermati, ma di mezzo c’era la necessità di riscattarsi dopo la delusione della stagione precedente, vissuta ben al di sotto delle aspettative e culminata prima con il cambio dell’allenatore (Alberto Bendoricchio al posto di Emanuele Finazzi, n.d.r.) e poi con l’eliminazione al primo turno di playoff. Fu senz’altro importante il lavoro dei nuovi dirigenti, come Bellani, che pure andò via a novembre, ma era riuscito a imprimere una svolta, in termini organizzativi, più professionale. O se vogliamo, più di tipo professionistico. Con il tempo, e con i dovuti accorgimenti compiuti a dicembre, prendemmo il volo strada facendo, mentre il Darfo, che pure aveva preso a comandare lungo il girone di andata, andò in difficoltà con l’inizio del girone di ritorno”.
Che partita ricordi particolarmente di quella stagione? E quale, secondo te, è stata quella che vi ha fatto capire che potevate farcela?
“Nel ritorno, al rientro in campo dopo la sosta, abbiamo piazzato il break decisivo, ma tutto passava per forza di cose dallo scontro diretto, previsto nel quintultimo turno. Giocavamo in casa e posso dire di non aver mai visto mille persone sugli spalti a Grumello. Era un colpo d’occhio incredibile; forse soltanto l’anno dopo, con il Piacenza a recarci visita ai tempi della D, abbiamo rivisto qualcosa del genere. Con il Darfo fu una partita bellissima, emozionante, aperta a ogni risultato, anche se il risultato finì per non fare una piega, dato che nel primo tempo avevamo fatto meglio noi, mentre nella ripresa erano usciti loro. Finì 1-1, il gol in apertura di Amassoka ci portò subito quella fiducia di cui avevamo bisogno; poi il pari di Sonzogni riportò a galla gli avversari, ma abbiamo ribattuto colpo su colpo e alla fine festeggiammo un pareggio che sapeva di trionfo. Dopo i successi su Orceana e Pedrocca, la certezza del titolo arrivò nel derby con il Villongo: un altro 1-0, tanto per cambiare, con gol di Boldini, uno dei giovani della rosa. I big li conosciamo tutti, ma non dimentico il contributo offerto dai più giovani, in particolare Corna (oggi in forza al Fontanella, n.d.r.), che giocava basso a sinistra, e Diallo (Or. Cologno, n.d.r.), che con il tempo si impose a centrocampo, insieme a me e Bulla. E’ stata davvero una gioia immensa, eravamo una rosa completa in ogni tassello, seguita con passione da una società sempre presente e che ha saputo farsi sentire nel momento del bisogno. A un certo punto era parso chiaro che fossimo troppi in rosa e si è reso necessario che qualcuno partisse. A dicembre sono andati via Bonomi e Zamblera, mentre Menassi fu sostituito da Mapelli e Daniele Serafini, che più recentemente ho ritrovato a Telgate. Serafini, nei pochi mesi a disposizione, ci ha dato un grande contributo, specialmente a livello di spogliatoio e di tenuta del gruppo. Insomma, Bellani non c’era più ma la sua mano era rimasta e la squadra, sospinta dalla società, ha preso a crederci come e più di prima. Se ripenso a tutti i protagonisti, il primo che mi viene in mente è il mio Pres, Diego Belotti. Per me lui era come un padre e il nostro rapporto andava ben al di là del campo da gioco. La sua scomparsa è stata una perdita importante, per la Grumellese e per tutto il calcio bergamasco”.
Dopo quel trionfo, la Grumellese è stata chiamata alla prova in Serie D. Che avventura è stata?
“Con il salto in D, fu inevitabile un altro stravolgimento dell’organico. E anche in questo caso l’inizio non fu per niente facile. Dopo due punti ottenuti nelle prime otto giornate, con il pareggio di Seregno arrivò quell’iniezione di fiducia che ci permise di ottenere ben otto risultati utili consecutivi. Nel ritorno, siamo partiti forte, poi ci fu un nuovo calo, ma nel complesso ne siamo venuti fuori bene, salvandoci a tre turni dal termine. Ci è voluto del tempo per assestarci, ma eravamo una buona squadra. Basti pensare all’attacco, con Spampatti vicino a Gullit; a centrocampo a dirigere le operazioni c’era Carroccio, aiutato da un giovane di valore come Pozzoni. Poi arrivò a campionato in corso dall’Albinoleffe Sergejs Vorobjovs, un giovane davvero talentuoso; il più talentuoso tra quelli passati a Grumello nei miei anni. Gli ho visto fare cose incredibili”.
Veniamo alla stretta attualità. Visto che ora giochi nel Lumezzane, secondo nel girone C dietro il Sirmet Telgate, quante ne dovrebbero salire secondo te?
“Dico le prime due, senza alcuna retrocessione. E non lo dico perché sono del Lumezzane, ma perché penso che ci siano ancora troppe giornate in ballo ed è giusto usare un metro più morbido, più pronto a premiare che condannare. Ora è difficile fare grossi ragionamenti sul calcio giocato, è importante togliere di mezzo il virus e trovare le giuste garanzie per la salute, che è la cosa più importante. Certo è che con nove giornate da giocare, tutto poteva succedere. Lumezzane è una grande piazza, mi sono sempre trovato bene, anche per merito di un gruppo che è sempre stato compatto e non ha mai vissuto uno screzio: mi sarebbe piaciuto giocare fino in fondo le carte per il titolo. Dall’altra parte, c’è il Telgate, che è primo e merita senz’altro di salire, anche solo per la stima e l’affetto che provo per la società. Non sarei andato via da Telgate, purtroppo hanno pesato i problemi con l’allenatore. I nostri sono caratteri diversi e io, a costo di risultare antipatico, preferisco dire in faccia le cose. Il cambio in panchina (Simone Carminati al posto di Alessio Pala, n.d.r) ti dà sempre qualcosa in più e il Sirmet Telgate ha saputo approfittare del nostro calo, coinciso con il giro di boa del torneo. Noi abbiamo perso il nostro faro, Minotti, che è stato out per tre turni causa squalifica, e loro, più liberi mentalmente, hanno preso a volare con il nuovo allenatore. Non bisogna però dimenticare la difficoltà oggettiva delle prime giornate del nostro calendario: anche quest’aspetto va preso in considerazione, laddove si decida di chiudere definitivamente il campionato. A breve dovremmo avere un quadro più chiaro delle decisioni che verranno prese e spero vivamente di festeggiare un altro salto di categoria. Ad ora i campionati vinti sono cinque: Rudianese, con il doppio salto dalla Promozione alla Serie D; Caravaggio, nell’anno del Triplete (stagione 2011-2012, biancorossi di mister Finazzi a segno con campionato, Coppa Italia e triangolare dedicato alle regine dei tre gironi dell’Eccellenza lombarda, n.d.r.); Grumellese e Rezzato. Proprio a Rezzato ho avuto modo di conoscere mister Quaresmini (attuale tecnico di Lleshaj al Lume, n.d.r.) e devo dire che anche grazie a lui, grazie al lavoro che abbiamo costruito tutti assieme a Lumezzane, ho ritrovato la serenità e il piacere di giocare”.
Oggi Vincent che fa per tenersi in forma, per tenere botta davanti a questa lunga sosta forzata?
“Con gli anni che passano, diventa doppiamente importante tenersi allenato e quindi ho salutato con soddisfazione l’allentamento delle restrizioni. C’è però un allenamento irrinunciabile, cui tengo fede ogni giorno, tanto più che va in scena dopo il lavoro. Sullo stesso luogo di lavoro. Finito di lavorare, nel giardino della “Parquet Clio Project”, insieme a Michele Arrigoni, Nicolò Belotti e un altro collega diamo vita a alle nostre sedute di calcio-tennis. Prepariamo le linee, la rete di separazione…e vinca il migliore”.
Nikolas Semperboni