Viva l’Italia, sperando che da domani rialzi un po’ la testa. Come me da ragazzo, a Londra a lavorare, coi capelli rossi rossi, la ragazza sul pullman che mi chiede “Are you irish?” e io, orgoglioso, “No, thanks, I’m italian”. E poi parto “Nice to meet you”, “How do you do?”, “The pen is on the table”, le uniche frasi che conosco, gestiscolando che manco un ossesso, e lei che ride che sembra una matta e io che sono felice del mio sangue, che è un sacco comico, sessanta e passa milioni di persone che fanno ogni volta ridere a crepapelle.

E’ giusto e sacrosanto: in questo casino, di lutti e di incertezze, abbiamo perso il nostro meglio che è essere divertenti sempre e comunque, persino nelle sfighe. Come il Silvio, che io non ho mai votato, ma che mi aveva messo il buonumore, in quegli anni là, con gli altri presidenti a fare le corna nella foto mentre il momento è drammatico, abbiamo addosso milioni e milioni di debiti, parecchi euro da inventare. Eppure lui fa il gesto, che siamo tutti un po’ scemetti. Ed è tanto il nostro bello, che io vorrei tornasse.

Viva l’Italia, nell’immenso desiderio di ricominciare a dividerci nei famosi due partiti, ma da domani solo per le cazzate, non tra chi è razzista e chi non lo è, perché questa cosa ci ha spiegato che siamo proprio tutti uguali, bianchi, gialli e neri, le stesse grandezze, l’identica miseria. Piuttosto tra le fazioni della mortadella e del crudo, del grana e del reggiano, della Juve e dell’Inter.
Che sia questa guerra, che l’altra non ce l’ha fatta, a farci sentire un unico popolo in marcia verso il sole e il mare, il nostrum, il più figo al mondo, che la Grecia, che non ci vuole, ai turisti dà da magnare quella schifezza dello tzatziki. Noi i casoncelli, il risotto al persico, i tortellini, le lasagne, gli gnocchi alla romana, le melanzane alla parmigiana, la pasta al pesto, la focaccia di Recco. E la pizza migliore al mondo. Che io una volta l’ho provata in Francia, a Lione, e mi pareva fosse avvelenata tanto non la sapevano fare, con l’Emmental al posto della mozzarella.

Viva l’Italia, il suo sottofondo, che avete mai sentito le canzoni che stanno in testa alla classifica in Germania? Con quelle parole dal suono così incazzoso che ti mettono addosso la rabbia, che le ascolti a Berlino e il ritornello dice “Ich liebe dich”, e tu pensi che sia un brano di protesta, di punk impegnati e po’ ubriaconi, pronti a menare le mani contro i neonazisti. Invece è qualcosa di sentimentale, si traduce “Ti amo”, ma vuoi mettere con il pezzo di Umberto Tozzi, quello che a un punto dice “è una farfalla che muore sbattendo le ali”?

Viva l’Italia, i suoi baci in bocca, che so per esperienze giovanili con una ragazza austriaca che siamo gli unici che limoniamo duro. “Dammi un bacino, dammene un altro”, del resto è il nostro vizio. Bocca, lingua, mani, piedi e mani, fare l’amore e bere vino, anche perché ci è capitato di vivere con le donne più belle al mondo, le italiane.

Viva l’Italia, i suoi geni, quelli che dipingono, quelli che fanno le statue, ma pure gli ingegneri della Brembo e della Ferrari. Che sembriamo tanto scemi, ma ci arriviamo sempre prima, che forse è pure l’arte di arrangiarci, che abbiamo proprio tutto, bere, mangiare, l’arte, la storia, il sole, il vento, le stelle e il mare eppure siamo sempre tra gli ultimi in Europa, perché ce ne fottiamo ogni volta di chi dobbiamo andare a votare.

Viva l’Italia, la sua Nazionale di calcio, quella di volley o quella di basket, perennemente nel dramma all’ultimo secondo, per poi vincerla tra l’angoscia e il batticuore generale. Come in questo Due Giugno, la nostra festa nazionale, dopo averla risolta in extremis segnando quattro gol al coronavirus nei minuti supplementari.

Matteo Bonfanti