Il bicchiere bergamasco è mezzo vuoto, perché, come nella guerra precedente, ci siamo scordati di mettere al primo posto le vite delle nostre donne, dei nostri bambini e dei nostri vecchi.
Non è stato il coronavirus, ma le sue conseguenze, la paura che sentivamo addosso e che ci immobilizzava, ad uccidere Viviana, 34 anni, una ragazza cresciuta tra i prati appena sotto Città Alta, in via Maironi da Ponte. Il compagno l’ha ammazzata di botte, pugni e calci che le riservava da mesi. Le sue urla svegliavano ogni volta i vicini, proprio loro che a lei tenevano tanto perché l’avevano vista crescere, diventare grande, ognuno innamorato del suo sorriso, quello di una donna dolce e simpatica. La vedevano gonfia, disfatta, inerme mentre portava a passeggiare i suoi cani. Tutti sapevano quanto stava accadendo, ma è successo lo stesso. E’ morta all’ospedale Papa Giovanni il 6 aprile del 2020.
Non è stato il coronavirus, ma quello che sta portando adesso in tante nostre case, la miseria. Karim, dieci anni, chiedeva la carità per le strade del suo paese, Boltiere. Fuori dal supermercato, scalzo, tra le carezze e i dolci rimproveri dei tanti che si erano affezionati a lui, un bimbetto scatenato, dal sorriso contagioso, con in testa sempre sua mamma, suo babbo e i suoi quattro fratelli. Tutti sapevano che dopo questi due mesi, senza soldi e senza scuola, la situazione della famiglia di Karim stava diventando pericolosa e insostenibile. Martedì, alle otto di sera, il piccolino si è arrampicato su un cassonetto della Caritas per recuperare un paio di scarpe, che sarebbero servite a uno dei suoi fratellini. E’ rimasto incastrato tra le lamiere. E’ morto all’ospedale Papa Giovanni il 19 maggio del 2020.
Non è stato il coronavirus, ma anni e anni di gestioni scellerate della sanità lombarda a far perdere la vita ad Antonio. Aveva 63 anni, abitava a Nembro. Era un uomo forte, di quelli della Val Seriana, dalla tempra dura, mai fermo. Il 26 febbraio doveva fare una visita di routine all’ospedale di Alzano. Niente di che perché era in gran forma. Ma lì dentro qualcosa era già successo, e lui si era informato, chiamando, chiedendo se ci fossero pericoli, visto che qualche giorno prima il Pronto Soccorso del Pesenti Fenaroli era stato chiuso per qualche ora proprio per la paura che le sue mura e i suoi medici si fossero tutti infettati. Rassicurato, era andato a farsi vedere, ovviamente senza mascherina, che, allora, ci dicevano non servisse. Tre giorni dopo la febbre, altissima, 39-40 per un’intera settimana, ma nessuno voleva ricoverarlo. Il 7 marzo Antonio ha cessato per la prima volta di respirare. Tutti sapevano che ormai era troppo tardi per salvargli la vita. E’ morto all’ospedale San Gerardo di Monza il 25 marzo del 2020.
Ma il bicchiere bergamasco è anche mezzo pieno. Perché Viviana, Karim e Antonio, così come ogni altra persona che se ne è andata, adesso stanno nel cuore di ogni uomo che vive nella nostra provincia. E ognuno di noi farà il suo perché tutto questo non accada più.

Matteo Bonfanti

Nella foto, tratta da Valseriananews.it, Antonio e la moglie, Gabriella, che si sta battendo per scoprire il perché della morte del marito