Più di un centinaio di gol, mai contati: “Al Bottanuco ne feci una trentina, diciassette in una sola stagione, alla prima vera esperienza da titolare tra i senior. Non ho più lo spunto per giocare in fascia alta, ormai sono quasi una prima punta. Non tengo le statistiche, ma resto un fissato per il calcio. E non è ancora il momento di andare dietro l’area tecnica o a una scrivania”. Michele Turco è il capitano non giocatore della Voluntas Osio, ma in autunno dovrebbe esserlo di nuovo a pelo d’erba: “Adesso come adesso me la vedo in tribuna, per l’operazione al crociato destro a febbraio. Anche se a 36 anni è dura recuperare, non voglio rinunciare al profumo della domenica. Al campo, ai compagni, allo spogliatoio. Ho sempre avuto una voglia matta di calcio, che non sempre vedo nei ragazzi di adesso. Non sembra più una priorità. Io, invece, avevo voglia di arrivare. Non posso dirmi arrivato, ma me la godo ancora oggi. Dentro, sono un ragazzino”.
La storia del salumiere che fa a fette gli avversari, “un titolo dedicatomi all’epoca che mi fa sghignazzare, faccio da sempre il macellaio” parte da molto lontano. “Sono di Palermo e faccio un tifo d’inferno per la squadra della mia città. La vedo spesso in trasferta. Se riesco a liberarmi dagli impegni di lavoro, il 23 vado in Coppa Italia a Udine – racconta l’eterno ragazzo con un accenno di pizzetto, prossimo ai 37 inverni il 25 gennaio -. Dall’età di 13 anni sono a Osio Sotto insieme a tutta la mia famiglia. Torno giù almeno tre volte l’anno, ho centinaia di parenti compresi i cugini di secondo grado. Iniziai subito alla Voluntas, a 16-17 anni ero in Eccellenza con Domenico Moro allenatore. Grandissima squadra”. Mietere successi è tanto, per il palermitano osiense, “ma ho abitato qualche tempo a Ciserano”, mica tutto: “La voglia di scalare le categorie era fortissima, non la rivedo nei ventenni di oggi. Vinsi il campionato con la Juniores, poi avrei vinto la Seconda Categoria col Città di Dalmine di Danilo Paolati. Tra lì, dove sono stato il miglior giovane di Prima nel 2013, e la Voluntas, una storia di ritorni, nella seconda a cavallo dell’esperienza alla Stezzanese, sempre in Promozione. Spesso ha contato la chiamata e la volontà dei Direttori Sportivi: in rossoblù Sergio Airoldi, a Dalmine Filippo Ghisetti che mi metteva pure le scarpe nei rimborsi. Nel calcio i rapporti sono molto stretti, quasi viscerali, da grandi amicizie. Quando incontro qualcuno con cui ho condiviso il campo, le dimostrazioni reciproche d’affetto sono scontate. Mi fa piacere, è un modo per lasciare il segno”.
La voglia matta che non passa mai: “Un denominatore comune dei calciatori della mia generazione. Prendete Mattia Tintori, un bravissimo centrocampista offensivo di grande stazza: aveva smesso, ora che è diventato da poco papà per la seconda volta ha ripreso, all’Oratorio Stezzano, dove gli fanno fare la prima punta in una squadra che normalmente gioca senza. Ci hanno fatto pelo e contropelo in Coppa Lombardia: un collettivo di amici con un nocciolo duro che resiste e integra i nuovi, si potrebbero trovare bendati su quel fortino in sintetico che è l’altra loro forza. Con Mattia eravamo compagni al Città di Dalmine, ha un anno più di me”. Storie passate, sempre vive nelle memoria: “A proposito, è un peccato che una squadra rappresentativa di tutta la città non ci sia più. C’era anche il Dalmine Futura: niente da fare, un progetto unitario non regge”. In compenso, resistono le frazioni: “Proprio contro il Mariano e il Sabbio ho disputato spezzoni di due amichevoli precampionato, raccomandando agli avversari di non entrarmi troppo duro perché ero e sono di fatto in riabilitazione, un percorso di recupero che spero duri ancora non più d’un mese. Non è il caso di forzare”. Quanto a interventi decisi, riaffiora subito un altro ricordo: “Mamma mia, a Stezzano, Yuri Cortesi! Mai visto uno così cattivo, furbo, competitivo e smaliziato. Anche un leader, certo. Quella voglia di pallone che riconosco anche a me stesso. Non faceva sconti nemmeno a noi compagni in allenamento: dovessi incontrarlo di nuovo, lui che a 45 anni è ancora sulla cresta dell’onda, gli raccomanderei via whatsapp di andarci piano. Per fortuna siamo nel girone A…”.
Passata la bufera Covid-19, dopo le parentesi a Lallio e a Filago riecco l’alma mater: “Da quattro anni con la fascia al braccio, non male. La società ovviamente non è più la stessa di allora. Abbiamo cambiato 14 giocatori e senza rimborsi non è facile trovarne di categoria. Ho dato una mano sul mercato al diesse Aden Usubelli, quello che mi ha richiamato alla Voluntas. Diciamo che l’anno scorso aspettative e promesse non sono state rispettate: la rivoluzione in rosa era scontata. Io non vedo l’ora di tornare a dare una mano: sono il capitano, vado per i trentasette, ma non ho alcuna intenzione di mollare”. Prima la salute, poi di nuovo l’aroma proibito dell’erba, una droga per chi è tuttora al centro del progetto: “Al Gorle, per dire, non andò bene per l’ernia al disco. Posso comunque dire di aver giocato coi gemelli Andrea e Nicola Guariglia. Gran coppia, eterozigoti e diversi anche di ruolo. Fosse poco. E con me, in quel club, si comportarono da veri signori, pagandomi perfino l’ozonoterapia”.
La carriera da calciatore è fatta anche di rimpianti, anche se col senno di poi, di chi comunque non si sente certo un ex, le priorità cambiano e sono altre. “Ai tempi dell’ottimo anno e mezzo alla Stezzanese, con Daniele Albini in panchina e Marco Di Costanzo in campo, fui a un passo dalla serie D, al Brusaporto. Non se ne fece nulla. La famiglia, da quando c’è, è al primo posto e non si discute – il congedo di Turco, quello della voglia matta -. Ma del profumo della domenica non posso fare a meno. Alla mia signora ripeto spesso, anche se non so quanto ne sia contenta, ‘potrei lasciare prima te del calcio’. Dopo tutto, con questa passionaccia sono riuscito a pagare quattro anni di mutuo. Io, il macellaio che vuole ritornare a fare a fette gli avversari”.
Simone Fornoni


martedì 9 Settembre 2025







