Mentre mio figlio Zeno mi dorme a un passo, è il primo momento di questi miei ultimi sette giorni senza che nessuno mi chiede qualcosa, che ne so la chiave di uno spogliatoio o un idraulico nel mio taschino per far funzionare l’acqua calda oppure una muta bianca o, ancora, quanto possa costare un’ora di calcetto al centro sportivo di Azzano San Paolo se si viene per un mese intero, o, di nuovo, “ma tu sai a che ora giocano questo pomeriggio gli esordienti A del Mapello?”.
Sono un giornalista sportivo, seguo il calcio provinciale, racconto da vent’anni i miei splendidi ragazzi, quest’anno demonizzati all’infinito dai vertici nazionali, persone che stanno nei palazzi di Roma e che sono arrivate persino a proibire il colpo di testa, gente che pensava che un gol segnato di crapa da un bambino della Falco Albino avrebbe potuto mettere addosso a tutti il covid, sterminando all’improvviso l’intera Val Seriana all’esultanza dell’1-0. Hanno fermato migliaia di appassionati per mesi e mesi. Hanno tentato di accoppare un movimento che regala speranze e sogni, libertà e svago, amicizie vere, poesia, il solo dove il razzismo non esiste. Bianco, giallo o nero, etero, bisex o gay, chissene, l’importante è dar tutto in settimana per essere pronto la domenica. Conta quello, al mister e all’accompagnatore non frega una minchia né del colore della pelle né dei gusti sessuali del numero cinque o dell’ala destra o del centravanti.
La pandemia non l’ha diffusa il pallone. Nella Bergamasca lo sterminio è avvenuto per due scelte politiche fatte a inizio marzo 2020: la mancata zona rossa e i malati covid nelle case di riposo. Non è stato il calcio. Ma l’hanno proibito, pur che nessuno dei ragazzi sia mai stato male, pur che i presidenti si siano messi a seguire mille regole, alcune assurde, per far tornare a giocare i loro atleti, spendendo un sacco di denari.
In questo biennio siamo stati tutti eroici. Pres, dirigenti, mister, calciatori, i popini del vivaio, perché, per chi è dentro, il pallone è al primo posto, è il massimo dei massimi. Non correre su un campo di pallone è quasi morire. Uguale per noi di Bergamo & Sport, che allora editavamo due giornali, il primo sul calcio provinciale, il secondo per i tifosi allo stadio, in una settimana improvvisamente senza sapere più che cazzo fare, perché era scomparso tutto il nostro lavoro all’improvviso, senza neppure aspettarcelo e per scelte alquanto discutibili.
Così ce ne siamo inventate di ogni, abbiamo continuato a raccontare la passione, pur calpestata e infranta, su Bergamo & Sport, e abbiamo messo in piedi un mensile generalista, il Caffè, su cui lavorano i miei colleghi e soci Marco e Monica. Io, invece, mi sono buttato sul libro, il Vestaglietta, poi sul cd, We’re the fubal, quindi sulla festa ad Azzano, che si è conclusa ieri e per tutti e tre è stato un immenso piacere, ma pure uno sforzo organizzativo gigante e un impegno totale.
Ringraziando Luca e Mauri, eccezionali, Lore e tutto l’Azzano, immensi, poi Matti, Ian, Dario e Asia, la fantastica banda di Be A Pro, ragazzi semplicemente stupendi, gli inesauribili Giacomo, Norman, Simo, Michael, Daniele, Nik, Pippo, Giovanni, Carmelo, Moni e tutti i giornalisti di Bergamo & Sport, chi ci aiutato col sorriso, Filippo, Giorgio, Andrea, Claudio, Luca e Cri e mille altri, quello che resta delle giornate di Azzano è che il calcio bergamasco non muore mai. Lo puoi anche accoltellare, ma lui si rimette in piedi perché è fortissimo.
Hanno provato ad ammazzarlo, ma non ci sono riusciti. Ad Azzano abbiamo toccato con mano che è tutto intatto perché è un movimento splendido, dalla voglia immensa. Ce l’hanno i pres, i ds, i mister, gli arbitri, i giornalisti, i genitori, ce l’hanno, ovviamente, i calciatori di ogni età, ce l’hanno i responsabili dei vivai e i campioni dell’All Stars.
Più di tante parole un’immagine di cui però non ho la foto: i 2008 del San Tomaso a sfidare quelli dell’Accademia Isola Bergamasca sul campetto a cinque dopo quattro partite massacranti del torneo a undici, mischiati alla cazzo, felici finalmente di giocare a pallone e di abbracciarsi dopo un gol, le due cose più belle che ci sono al mondo. Tra i nostri sguardi protettivi, quelli di chi ama il pallone.
Immense le ragazze del calcio orobico, ambito che ho conosciuto alla festa di Azzano e di cui mi sono innamorato e che meritano la copertina del mio articolo perché vivono le partite in un modo splendido, allegro e pieno di poesia.
Matteo Bonfanti