Quarant’anni di Grumellese tra molte gioie, qualche dolore e parecchi campioni, alcuni scoperti, altri lanciati, altri ancora rigenerati. Sipario alzato su Diego Belotti, grande imprenditore, ma soprattutto signore del nostro calcio, dal 1982 nel club giallorosso, che ha portato addirittura nel paradiso del pallone regionale, la Serie D che tutti sognano. Annate bellissime e indimenticabili per una società da anni al vertice della Bergamasca, stabilmente in Eccellenza, il più delle volte nella parte alta della classifica. Ora la fusione con l’Atletico Chiuduno, nel pensiero stupendo di formare una superpotenza calepina unendo l’entusiasmo che contraddistingue la famiglia Gritti con l’esperienza e la lungimiranza di Belotti, uno che in questo decennio ha creato un settore giovanile con pochi eguali in Lombardia, forte di dodici squadre col meglio in ogni categoria.
Non è facile intervistare Belotti, un po’ perché è impegnatissimo con la sua azienda, la Parquet Clio, dove lavora un autentico fenomeno del centrocampo che di nome fa Viserjan e di cognome Lleshaj, molto perché il telefono del presidente giallorosso squilla ogni cinque minuti. Prima domanda e prima chiamata, dall’altra parte, udite, udite, c’è Damiano Zenoni, sì, proprio lui, il gemello d’oro della banda Vavassori, a Grumello negli ultimi anni di carriera col fratello Cristian, alla corte di Diego, diventandone subito un amico fraterno. Ascolto i due che chiacchierano amabilmente: “Vieni a mangiare da me giovedì che stiamo a mangiare due costine in giardino?”, “Certo, porto tutta la famiglia, arriveremo verso le otto, che ti racconto un po’ qui come sta andando”, “Anche io ti devo dire della Feralpi, ho un bel gruppo, sono molto contento, la voglia di iniziare è tantissima”. Il tono è quello che si usa tra fratelli, allegro e tranquillo, del resto se Damiano insegna calcio nei vivai del momento il merito è anche un po’ di Diego, che gli propose di allenare i suoi esordienti.
Partiamo da qui. Stagione 2011-2012, campionato di Eccellenza, alla Grumellese arriva appunto Damiano Zenoni, che ha appena 34 anni, la bellezza di 217 partite in Serie A, la stessa voglia di lottare in campo di un ragazzino alle prime armi. “Venne a giocare qui con la sua straordinaria professionalità, primo ad arrivare agli allenamenti, ultimo ad andare a casa, il sorriso, la capacità unica di mettersi a disposizione del mister. Mi ricordo come si arrabbiava tra il primo e il secondo tempo quando qualcuno non dava il massimo in campo. Per questo motivo gli proposi di iniziare ad allenare, per via della capacità di trasmettere all’intero ambiente la voglia di dare il 110 per cento. Damiano è un ragazzo d’oro, così come Cristian, che è arrivato la stagione successiva. Alla Grumellese hanno fatto insieme l’ultimo anno di carriera regalando giocate d’applausi a ogni partita”.
Gli Zenoni sono i migliori dei quarant’anni giallorossi di Diego Belotti? “Non so, perché è impossibile dirne due, troppi i ragazzi d’oro che sono passati di qui, oltre a Damiano e a Cristian, mi vengono in mente Grigis, che giocava col crociato rotto segnando raffiche di gol, più di sessanta in due stagioni, un mostro, poi Rossi, il suo compagno di reparto in un attacco da sogno, Romanini, che da noi ha fatto il record di reti in Eccellenza, ragazzo straordinario, quindi Piacentini, Iudica, Stuani, Gullit, Ravasi, Michele Arrigoni, ora Bahirov, che è una bestia, Gambarini, che ho lasciato andare allo Scanzo, in Serie D. Sono tanti quelli che mi sono rimasti nel cuore, con tutti ho mantenuto un rapporto di amicizia, perché il calcio è soprattutto questo, legarsi anche una volta che non si è più nello stesso club”. E il pres non mente, come detto Lleshaj, immenso proprio negli anni della Grumellese, fa l’operaio alla Parquet Clio, appunto da Diego, nonostante un 2018-2019 vissuto da assoluto protagonista con la maglia dei rivali della Sirmet Telgate e l’approdo proprio in questi giorni a Lumezzane.
Grumellese stellare anche per quanto riguarda il settore giovanile. Facciamo giusto tre nomi? “In giallorosso sono cresciuti tre calciatori che ora sono professionisti, ragazzi che già da piccoli erano molto in gamba. Parlo di Andrea Belotti, centravanti del Torino e della Nazionale, di Paolino Della Fiore, che ha vestito anche la maglia dell’Inter, e di Alberto Brignoli, portierone che difende la porta del Palermo”. 
Quanto conta un presidente per restare al vertice? “Un allenatore il sessanta per cento, il pres poco poco, il venti, deve mettere insieme un buon gruppo dirigenziale, poi lasciar fare, il migliore tra quelli che ho conosciuto è stato Zerbini, l’ex numero uno giallorosso. Io sono uno che s’incazza tantissimo durante la partita, divento un rompicoglioni ed è un male per me e per tutti. Così col tempo ho imparato a vedere le sfide chiave della stagione lontano dalla tribuna. Penso, comunque, che un presidente non debba fallire soprattutto su una cosa, ossia la scelta del mister, in questo senso credo che quest’anno il Chiuduno Grumellese sia in ottime mani. Gusmini è bravissimo, un tecnico moderno, straordinario nel rapporto con i giocatori perché è stato un grande calciatore e riesce a capire al volo i problemi di ognuno dei ragazzi in rosa, risolvendoli”.
Hai parlato della fusione dell’estate… “L’azienda della famiglia Gritti aveva il capannone qui a Chiuduno, accanto al mio. Ci siamo conosciuti e abbiamo iniziato a collaborare nel lavoro. Quattro mesi fa abbiamo pensato di farlo anche nello sport, una prima squadra ambiziosa e attrezzata in Eccellenza, un settore giovanile, appunto il nostro, che pur essendo molto valido, può essere ulteriormente migliorato. E la fusione è solo il primo passo di un progetto che io vorrei attirasse a noi altre importanti realtà calcistiche della Valcalepio, un posto dove la passione per il pallone è fortissima”.
Capitolo allenatori, i tuoi preferiti. “Sono tre: Bonaldi, preparatissimo, straordinario per tanti motivi, un tecnico che era un lusso per la Grumellese di allora perché era il più in gamba dell’intero ambiente calcistico bergamasco, Mignani, ragazzo d’oro dentro e fuori dal campo, una persona con cui è bellissimo parlare e confrontarsi e Bonazzi, a cui io sono legatissimo perché ha un carattere molto simile al mio, sembriamo burberi invece siamo l’esatto opposto, alle persone vogliamo bene”.
Ci sarebbe da fare un libro, chiacchierando con Belotti anche del presente (“ammiro la dirigenza dello Scanzo perché, credetemi, stare in Serie D economicamente è un bagno di sangue”, “Ghisleni della Virtus Ciserano è una delle pochissime persone degne di stare nel pallone, un uomo leale, super per passione e competenza”, “con l’Atalanta dei Percassi abbiamo avuto diversi problemi e, pur a malincuore, non collaboriamo più coi nerazzurri”), ma il tempo stringe. Diego deve lavorare sia per la sua azienda, la già citata Parquet Clio, che per il suo nuovo gioiello, appunto il Chiuduno Grumellese. Facciamo le ultime due domande, la prima riguarda il suo ingresso nel pallone: quando, come e perché. “Nel marzo del 1982 ho incontrato Viscardi, che è ancora con me, e mi ha invitato alla partita. Ho trovato qualcosa di speciale, soprattutto per me, che da piccolo amavo tantissimo giocare a pallone nonostante fossi una schiappa, addirittura senza un ruolo definito, finendo in campo dove capitava. La storia è tutta qui, fin da subito dirigente, grandi soddisfazioni, qualche delusione, ma nel complesso far parte di un club così importante è qualcosa che mi piace, che faccio e che, se si potesse tornare indietro, rifarei, nonostante si spendano tanti soldi sia per i grandi che per i piccoli”.
Chi ringrazia Diego Belotti? “Zappalà, ortopedico straordinario, cinque anni con noi, un gigante della medicina, Pasinelli, preparatore atletico prezioso, il ds Vecchi, andato a Mapello, l’anno scorso da noi, dirigente a cui mi sono legato per il grande cuore, Gambarini e Pasqualino, due sempre al campo a farsi il mazzo, tutti i sostenitori giallorossi, e poi la mia famiglia, che mi è sempre stata vicino”.
L’intervista è finita, ringraziamo Diego, lasciandolo nell’elegante show room della sua azienda, la Parquet Clio, nata ormai nel lontano anno 2000, eccellenza bergamasca che lavora parecchio con l’estero, un altro sogno realizzato dal figlio di un falegname che ora è un grande imprenditore.

Matteo Bonfanti