“Ero partito con un’Atalanta piena di italiani e di bergamaschi, come Gagliardini e Caldara. Adesso sono quasi tutti stranieri, ma s’identificano con l’ambiente e la città: sanno bene cosa vuole da loro la comunità bergamasca, lottare per dei traguardi e per la maglia a prescindere dalle vittorie”. Parola di Gian Piero Gasperini, intervenuto all’evento “Atalanta: la città dei campioni” organizzato al Piccolo Teatro di Milano dalla Gazzetta dello Sport nell’ambito del Festival dello Sport insieme al direttore operativo Roberto Spagnolo e a Pierluigi Gollini.

GASPERINI E SUOI CAMPIONI. Il tecnico nerazzurro ha risposto alle domande dei presentatori, i giornalisti Luigi Garlando che è il suo biografo e l’inviato speciale Andrea Elefante, anche sui due fuoriclasse della squadra. “Col Papu Gomez non sono sempre stati rose e fiori, ci sono stati momenti di confronto vivaci. Lui oltre a un grandissimo giocatore è una persona con valori molto alti: il problema iniziale era che all’inizio tendeva ad allenarsi poco, oggi invece è un highlander che non salta mai un allenamento. In cinque anni sono state rarissime le frizioni: abbiamo costruito insieme e lui è un aiuto incredibile nei rapporti coi compagni, mette delle belle toppe”. Qualche considerazione anche sul prossimo rientro di Josip Ilicic: “Inizialmente ero tra i più scettici, invece ora ho grande fiducia perché in allenamento è già il miglior Josip. Credo che tornerà molto presto. Abbiamo sempre avuto spirito di appartenenza nei confronti della città: abbiamo superato le partite in campo neutro e altre cose, supereremo anche le difficoltà di Ilicic”.

GASPERINI E I GIOCATORI. “Sono io a dover ringraziare i giocatori, perché mi hanno dato e mi stanno continuando a dare una disponibilità straordinaria. Gollini mi piace per le sue letture sui lanci, sulle situazioni: un portiere moderno che era costruito in modo tradizionale. Un portiere dentro la squadra: fa parte degli 11 – ha proseguito Gasperini -. Per troppo tempo ci hanno identificati come quelli che correvano più di tutti. Col Gps applicato alle partite in realtà s’è scoperto che siamo nella media. Facciamo quel che riusciamo a fare per la qualità e per i miglioramenti tecnici. Palomino mi dà del pazzo, ma è anche l’esempio di come un giocatore si possa adeguare alla mia idea di calcio: è arrivato da giocatore maturo, ma poi ha iniziato ad andare oltre la marcatura, anche negli allenamenti. Col Cagliari, due lanci, due assist: un premio al mio calcio e a lui”.

GASPERINI E LA CHAMPIONS, ATTO II. “Per l’Atalanta è un traguardo portare Bergamo nei templi storici del calcio internazionale. Ora andremo in casa del Liverpool e dell’Ajax, club che di Champions ne hanno vinte. La scuola olandese ha influenzato anche le mie idee. Incontriamo i mostri sacri, l’ambizione non è solo di far bella figura: la speranza è di poterci misurare con le nostre forze. Il dispiacere è per i tifosi che non possono seguirci dal vivo”.

GASPERINI E L’ATALANTA. “Nel 2011, come ricorda Spagnolo, sarei già dovuto venire a Bergamo. Colantuono aveva offerte, era appena risalito dalla serie B. Mi parlarono del Tanque Denis, poi andai all’Inter e sapete com’è finita… Il mio calcio è meno specializzazione nel singolo ruolo e più partecipazione del singolo alla squadra. Sui nostri allenamenti c’è molta poesia: difficilmente stiamo senza la palla tra i piedi, casomai completiamo con esercitazioni e lavori a secco. Il rapporto con Antonio Percassi? Fu lui a mutuare Berlusconi ai tempi di Sacchi al Milan, sulla frase dell’allenatore da seguire altrimenti si va a casa, dopo la sconfitta con la Sampdoria, prima della quarta sulle prime cinque giornate in casa col Palermo. La nuova partenza dell’Atalanta per me non fu col Napoli, ma sul neutro di Pescara col Crotone: misi Conti e Petagna titolare, decidendo a Francavilla in rifinitura”.

GASPERINI E IL CORONAVIRUS. “Il momento più duro è stato al ritorno da Valencia. A Bergamo c’era come la guerra: non si sentivano altro che sirene e non si leggevano altro che notizie su gente che stava male, di ospedali pieni. Una situazione precipitata in pochissimi giorni. Ho avuto il Covid qualche tempo dopo Valencia senza saperlo e con grande paura, perché tanta gente era coinvolta dovendo affrontare esperienze durissime. Mai avuta la febbre, mai avuti problemi respiratori. Ho tremato, i morti erano davvero tanti. A maggio col test sierologico ho scoperto di averlo avuto”.
Simone Fornoni