C’è un limite, che noi genitori abbiamo abbondantemente superato e adesso dobbiamo fermarci e parlarne. Era ieri, stavamo impaginando il giornale per mandarlo in stampa e prima mi ha chiamato Nicola, scosso, poi ho parlato con Gianlauro, allibito. Entrambi non avevano parole, perché i vertici del nostro calcio hanno più o meno la mia età e sono brave persone e di fronte alla violenza ad minchiam devono pensarci quell’attimo prima di rispondermi. Perché ieri è successo questo: Palosco-Aurora Seriate, categoria allievi, una delle mille partite del calcio giovanile che per me, direttore di Bergamo & Sport, sono solo una festa e noi non ne seguiamo nessuna col giornalista perché, per scelta mia, tale devono essere e restare, senza cronache o pagelle, senza foto, senza commenti, senza frustrazioni, nonostante potrebbero portarci un sacco di soldi perché ci sono in ballo nonne, nonni, mamme e papà che in caso di una larga vittoria comprerebbero tutti al volo il nostro giornale. I papà, già, i papà…
E allora ecco d’un fiato la storia di uno di loro: a Palosco i ragazzi scazzano, ci sono l’adrenalina, il risultato in bilico, la verve, il calcio, le identiche cose vissute da me, ala destra dell’Olginatese preso a quindici anni dall’Aurora San Francesco, un bambo uguale agli altri, in quell’età dove si prova tutto perché non si è né carne né pesce. Uno, non dei protagonisti, ma di chi per rammarico o per nostalgia se la sente comunque addosso, insomma un padre, varca il cancelletto del campo, corre addosso all’arbitro, un ragazzino che ha più o meno la stessa età di suo figlio, e gli tira un pugno fortissimo, ribaltandolo, facendogli un sacco male, mandandolo addirittura all’ospedale.
Avrei potuto mettere la cosa sul mio giornale, ho staccato dai recuperi delle sfide extraprovinciali uno bravissimo per questa orrenda storia, Daniele. Avremmo potuto fare il tutto esaurito a Palosco e a Seriate, ma ci ho pensato un attimo, del resto sono tra i pochi rimasti a non essere una iena dei giornali, di quelli sconosciuti e strapagati che il lunedì copiano i miei articoli rivendicandoli al loro capo come veri e propri scoop. A noi umani serve pensarci. Il mostro in prima pagina non aiuta. In tempi solo social a volte si dà il via all’emulazione. E noi che facciamo questo mestiere perché ci teniamo, dobbiamo farci un giro a respirare tra gli alberi per non fare cazzate.
Avrei potuto farci la prima pagina, sicuramente avrei venduto qualche copia in più della nostra nuova e fantasmagorica edicola digitale, ma invece ho scelto di non darne notizia. Perché? Non volevo inquinare il mio prodotto parlando di gente che passione non ne ha perché è senza l’equilibrio che nel pallone serve come il pane a tavola. Ce l’hanno i dirigenti e i giocatori del Leffe, del Casazza, dell’Azzano, della Falco Albino e dell’Accademia Gera d’Adda. Non ce l’ha un genitore che tira un cartone a un bimbetto che per cinquanta miseri euri fa il direttore di gara.
Solo questo. E poi c’è il mio vissuto. Mio babbo, Marco, veniva alle mie partite fingendosi uno sconosciuto, manco un mio lontano parente, perché ero bravino, ma rissoso, spesso un coglione, come lo si è da adolescente. Il mio primo, sedici anni, Vinicio, ha preso quattro e mezzo dal suo professore di storia, il Bianchi, semplicemente perché si riduce ogni volta all’ultimo, facendo la mattata per recuperare mesi di studio. E apriti cielo perché sono dalla parte del docente in questo strano e insensato mondo dove un babbo deve sempre essere il re di un clan, il capo della famigghia, raccontato sapientemente in tanti libri da Saviano.
Piantiamola, lo dico a noi genitori, con questa cosa brutta brutta di essere i paladini sfigati e ciechi dei nostri figli in crescita, popini che per esperienza ed età sono e devono essere bigoletti, irrisolti, coglionauti e sfigatelli, insomma normali. Ok, ok, abbiamo sofferto perché i nostri avevano mille altre cose da fare mentre noi eravamo lì a farci le seghe in bagno e a sudare sui libri, ma era un’altra epoca. Non è nell’ultra protezione dei nostri figli che possiamo liberarci dei nostri fantasmi. Lasciamo liberi i nostri ragazzi di sbagliare, di misurarsi con le loro cazzate senza il nostro squallido e violento paravento. Nel calcio i cartellini rossi, i gol presi e quelli sbagliati sono un errore. Coccoliamoli quando ne sono dentro, aiutiamoli a ridimensionare il tutto, ma da lontanissimo. Solo con la nostra opinione prima che vadano a dormire. Evitando, soprattutto, di finire nelle pagine di cronaca nera de L’Eco di Bergamo.
Matteo Bonfanti