Sarà la seretta che sta scendendo, sarà che sono qui in redazione con Fornoni che batte sui tasti e pare un pianista jazz, sarà pure che il Milan è tornato a vincere, resta che da una decina di minuti sono entrato nella modalità filosofo post moderno.
Bevo una birretta, gufo la Juve con la Samp, e penso a me, al ragazzo che ero, con in testa una domanda che mi faccio più o meno da un mese. Osservo i miei figli, Vinicio e Zeno, ormai adolescenti, e davvero non so cosa augurargli. Due le strade che valuto, sempre quelle: il mio percorso, perennemente in direzione ostinata e contraria, spesso pure facendomi un sacco male, ma che mi ha portato comunque qui, nella felicità di viverla, oppure un futuro diverso, magari alla scuola della parola di Comunione e Liberazione, che manco so se ci sia più, ma che, quando ero al Liceo, era un gruppo di gente perfetta, cattolica, ricca, bionda, alta, astemia, bravissima nello studio e realizzata, persone che a venticinque anni avevano già tre figli, la moglie dei sogni, la laurea in ortopedia, il posto in ospedale e la villetta sul lago.
Mi chiedo pure se la scelta di come disegnare la propria vita sia legata alla stirpe da cui discendi o se sia una questione di cellule. Se fumare, bere, ridere, piagnerne a dirotto, fare festa, zingarare, incasinarsi sentimentalmente e/o in progetti assurdi, bruciarla tutta dormendo poco e male, è perché hai visto tuo babbo farlo restando ogni volta in piedi, e quindi segui l’esempio, o, se, invece, nasci così e buonanotte ai suonatori, che stanno lì con te, a spassarsela, ognuno col mal di testa latente, che scoppia all’unisono il mattino seguente.
Solo l’altro giorno pensavo a un consiglio da dare ai miei figli un attimo prima di vederli spiccare il volo e ne avevo anche parecchi, ma solo uno che sentivo davvero importante, quello di non arrivare primi. Della mia generazione sono sempre stato il primo, il primo della classe, il primo a lasciare l’oratorio per andare a giocare in una squadra importante, il primo a fumare, il primo a farsi una canna, il primo a ubriacarsi e a sboccare, il primo a essere bocciato, il primo a fare l’amore, il primo a mettersi con la politica, il primo a diventare comunista, il primo a suonare (va detto poco e male), il primo a scriverne, il primo a lavorare, il primo ad andare via di casa, il primo ad espatriare, il primo a fare un figlio, un disco e un libretto per potermi testimoniare, il primo a tradire, a innamorarmi, a immaginare, il primo a fare il direttore di un giornale, il primo a schiantarsi, il primo ad andare dallo psicologo per non restarne così male.
Avessi aspettato gli altri, vedere qualcuno mettersi quando io non ci ero ancora dentro, magari mi sarebbe servito, forse avrei evitato diverse cicatrici, sul viso, nell’anima e nel cuore. Eppure mi sento fortunato, che conto chi mi ama e non mi bastano mai due mani. E allora mi dico che magari il segreto è combinare casini in serie, inguaiarsi, perché poi ci sono mille e passa persone buone che ti vengono a soccorrere ed è bellissimissimo, la sola cosa importante. E allora mi verrebbe da consigliare ai miei figli di essere pessimi, proprio come lo ero io alla loro età. Ma d’improvviso mi ricordo di essere il loro babbo, con quelle preoccupazioni lì, al lavoro perché stiano sempre bene bene, mai in pericolo. E allora spero che Comunione e Liberazione ci sia ancora e che Vinicio e Zeno siano folgorati dal cristianesimo e che si iscrivano, perdendosi un sacco di cose terribili e fighissime, come è la vita, ma evitandosi di mettersi nei guai perché il sabato sera e la domenica mattina la passano in chiesa a pregare e a rimuginare (ovviamente senza frequentare sul sagrato Formigoni che un po’ di minchiate le ha fatte pure lui).
Matteo Bonfanti
Nella foto io dodici anni fa, pessimo in un viaggio in Inghilterra